La famiglia finlandese scappata dall’Italia per colpa della scuola ha ragione: non mettiamo al centro il benessere
di Mila Spicola
Da loro, l’obiettivo di tutto è il benessere individuale e personale visto come parte di quello collettivo. Da noi, è un voto in pagella, una verifica, una corsa verso una misura che diventa fine e non mezzo
La famiglia Mattson, giovani padre e madre con al seguito quattro figli piccoli, attratta dalla Sicilia decide di trasferirsi a Siracusa e di iscrivere i figli a scuola. Ma dopo appena due mesi cambiano idea e, letteralmente, scappano per andarsene in Spagna. Forse a causa dell’annoso problema del traffico? No. Ce lo spiegano in una lettera che sta facendo il giro delle chat WhatsApp e dei social, mettendoci nudo e crudo sul tavolo il confronto implacabile tra il sistema scolastico finlandese e quello italiano. Il motivo della mutata decisione, infatti, è proprio la scuola. Il sistema scolastico italiano è totalmente diverso da quello conosciuto e vissuto dai sei in patria. I Mattson non vogliono che i figli crescano qui.
Parlano di qualcosa che per loro è normale e per noi lunare, facendoci intuire che la retorica dell’importanza della scuola, vantata da ciascuno di noi, di fatto si scontra con la noncuranza, con l’insipienza ma, soprattutto con un paradigma di base, quel che loro hanno compreso e invece noi no: la priorità del benessere delle persone, soprattutto dei bambini e la necessità di costruire tutto, scuola, società, organizzazione del lavoro, intorno a quel benessere. L’assunto è semplice: se si sta bene e si è sereni si impara di più, si cresce meglio, si lavora e si rende di più e gli effetti positivi si vendono concretamente anche nei rapporti sociali e collettivi. Attenzione, non è stato sempre così, non è un fattore genetico, come sostengono alcuni, o frutto del destino: la Finlandia anni fa ha deciso di cambiare tutto e di impostare rapporti, relazioni e vita in altro modo, in quel modo. Iniziando dalla scuola. È quello che si legge tra le righe della lettera, che non è significativa solo per le cose che dice, ma per la filosofia socio-antropologica sottesa.
I bambini devono giocare, i ragazzi devono muoversi, ma non è importante in sé, solo per il gioco, ma per quel che significa, l’approccio con loro deve essere empatico e rispettoso, così come empatico e rispettoso sarà poi l’approccio futuro da adulti. A nessuno venga in mente di sottovalutare questa impostazione, perché non sono piccole cose trascurabili, ma tasselli di un tutto che funziona: la Finlandia da un po’ di anni è in cima nelle comparazioni tra le competenze di base possedute sia dai quindicenni che dalla popolazione adulta. Per il solo motivo che a ogni cambio d’ora bambini e ragazzi si rilassano una decina di minuti giocando in cortile? No, non è quello il motivo, quello è l’esito del motivo: star bene. È da ribadire che quel sistema funziona perché causa ed effetto di un’idea di società, quella che hanno deciso di costruire.
Nello specifico, per la scuola, il loro è paradiso educativo, in tutti i sensi, per considerazione sociale, per missione nazionale chiara e condivisa, per armonia generale tra scuola, famiglia e società, per le strutture, per le idee e per la prassi che viene dalle idee. Ed è la normalità, non l’eccezionalità.
Il nostro sistema, al confronto, appare povero. Le luci del nostro sistema, che comunque ci sono, non bastano a coprire le ombre, che non sono determinate da un disimpegno di scuole o docenti, ma da un disimpegno collettivo sull’istruzione e dalla superficialità dei pensieri che la riguardano. Da loro, l’obiettivo di tutto è il benessere individuale e personale visto come parte di quello collettivo. Da noi, è un voto in pagella, una verifica, una corsa verso una misura che diventa fine e non mezzo. Ne parlo da un bel po’, l’obiettivo è il malessere come scelta educativa e sociale, il malessere proprio e altrui. Non da molto tempo un ministro ha parlato di umiliazione come strumento educativo. Ha minimizzato in seguito alle polemiche, ma l’egemonia culturale è quella di un Paese che scambia sofferenza ed espiazione, in ogni aspetto della vita singola e collettiva, scuola, società, organizzazione del lavoro, con l’impegno e la responsabilità, quando è il contrario. L’impegno germina frutti. Il malessere produce rami secchi. Il malessere non porta a migliorare nulla. Ho scritto pochissimi giorni fa sulla ossessività delle notifiche nelle app del registro elettronico, che sta provocando effetti generalizzati deleteri in termini di ansie e disagio negli adolescenti: è un altro esempio, ma tutto torna. Strumenti e metodi fondati sul malessere che non servono a nulla, se non a far star male. Attenzione, a proposito del registro elettronico: lo ritengo utile e necessario, ma nessuno vieta alle scuole e ai docenti di stabilire quali notifiche, con quale frequenza, cosa e in che modo catapultare nei cellulari di bambini, ragazzi e genitori.
Il problema a monte non è la scuola, ahimè a volte inconsapevole e ingabbiata nell’ingranaggio quotidiano degli adempimenti, ma quello che tutti ne facciamo di essa. Il problema è l’idea sociale e i valori collettivi su cui impostiamo la vita. Per far questo serve una scuola diversa che discenda da docenti e adulti diversi, formati a una missione chiara e condivisa nel Paese, con una professionalità specifica e certificata. La Finlandia è uno dei Paesi con la formazione e la selezione dei docenti pedagogicamente e didatticamente di maggior livello di qualità e difficoltà del mondo. Tutte le scuole e i docenti lavorano fianco a fianco con i dipartimenti universitari di pedagogia e didattica, che non sono parolacce, solo perché non se ne ha nessuna conoscenza, tantomeno familiarità – mi riferisco alle frequenti esternazioni a vanvera da parte di commentatori autorevoli nel loro campo ma di nessuna utilità nelle cose di cui stiamo trattando, perché con scarso o nullo governo degli argomenti riguardanti i sistemi d’istruzione – , ma ambiti della necessaria ricerca, quella educativa, connessa a uno dei sottosistemi collettivi più importanti.
Riflettiamo. Iniziamo a riflettere: la scuola è motrice ed esito dell’idea di società. La lettera di questi genitori non è scritta da marziani, da esseri geneticamente modificati, è scritta da persone, che lavorano, che hanno studiato con profitto, che hanno competenze, che sono bravi ed educati cittadini, che credono nell’impegno, ma che, tutto questo, lo perseguono profondamente convinti della necessità di star bene e di far star bene, se, i propri figli, le persone immediatamente vicine, sia perché si vive meglio, sia perché conduce effetti positivi e risultati migliori in ogni ambito. Il sistema scolastico non è povero solo di risorse, è povero di missioni assegnate che vadano oltre la notifica sul voto medio in millesimi.
La Finlandia lo ha deciso. E lo ha fatto. Noi, no. Non si tratta di copiare la Finlandia, ma di capire che possiamo decidere cosa vogliamo essere noi e disegnare una scuola aderente allo scopo. Una cosa la potremmo stabilire: basta malessere, basta umiliazioni e basta incompetenze pedagogiche.