Precari e abuso contratti a termine oltre i 36 mesi: Ministero dell’Istruzione condannato

Abusiva reiterazione contratti a termine oltre i 36 mesi: una nuova sentenza condanna il Ministero dell’Istruzione.D

Abuso dei contratti a termine nei confronti dei docenti precari, nei giorni scorsi il Giudice del lavoro del Tribunale di Avezzano, dottor Antonio Stanislao Fiduccia, ha condannato il Ministero dell’Istruzione a risarcire i danni nella misura di ben dodici mensilità in favore di una docente a causa dell’abusiva reiterazione dei contratti a termine oltre i 36 mesi, censurata dall’Accordo quadro sui contratti a termine, allegato alla direttiva 1999/70 CE.

Reiterazione contratti a termine oltre i 36 mesi, nuova condanna per il Ministero dell’Istruzione

La docente aveva accumulato supplenze annuali in costanza di un lungo precariato, proponendo ricorso mediante l’avvocato Salvatore Braghini della Gilda Insegnanti dell’Aquila. La sentenza le riconosce il diritto al risarcimento in ragione della perdita di chances per un’occupazione migliore, caratterizzata da stabilità. Di qui la condanna per danno comunitario, in quanto ad essere violate sono le clausole dell’Accordo quadro europeo, che mirano a migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato, garantendo l’applicazione del principio di non discriminazione, nonché a prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato. Il danno è stato commisurato dal Giudice del lavoro nella misura massima prevista dalla legge italiana che, nell’ambito del pubblico impiego privatizzato, prevede un’indennità onnicomprensiva tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

L’avvocato Braghini evidenzia che “la lavoratrice può esultare ancor più alla luce delle recenti pronunce del Consiglio di Stato, secondo cui la tipologia di risarcimento del danno da reiterazione abusiva dei contratti a termine esclude che l’importo da corrispondere sia assoggettabile a tassazione Irpef, in quanto le somme percepite dal contribuente a titolo risarcitorio sono soggette a imposizione soltanto se, e nei limiti in cui, risultino destinate a reintegrare un danno concretatosi della mancata percezione di redditi, mentre, come precisato anche dalla Corte di Cassazione, nel caso di danno comunitario il risarcimento è volto a riparare un pregiudizio di natura diversa”.

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