Scuola, Rapporto Ocse: un giovane italiano su cinque non ha un diploma

di Corrado Zunino, la Repubblica

Nel nostro Paese il salario reale dei docenti diminuito dell’1,3 per cento. Il ministro Valditara: “Una professione in crisi nel mondo”.

 

ROMA – Alla presentazione del Rapporto Ocse “Education at glance”, report sulla scuola all’interno di 38 Paesi industrialmente sviluppati, il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara ha riferito, attingendo dal lavoro, che nell’area interessata il 14 per cento dei giovani adulti non ha un diploma mentre in Italia la percentuale sale al 22 per cento, “un dato che va riconnesso con la divaricazione del Paese”. L’Italia resta spaccata in due, Settentrione e Meridione: “Un fatto, questo, moralmente inaccettabile, tanto che abbiamo varato un’Agenda Sud che coinvolge duemila scuole in particolare primarie, con una sperimentazione su dieci punti”.

Il ministro dell’Istruzione ha messo in luce un problema globale: “In tutto l’Occidente la professione del docente è sempre meno attrattiva e questo è un fatto drammatico. In Italia il problema riguarda la questione salario, certo, ma serve dare autorevolezza sociale e prestigio al lavoro più bello del mondo, una funzione strategica, quella dell’insegnante, per lo sviluppo dei nostri Paesi”.

“Education at glance 2023” spiega come insegnanti ben qualificati e motivati siano essenziali per sistemi educativi forti, “ma troppi Paesi continuano a dare priorità alle classi più piccole piuttosto che migliorare la qualità degli insegnanti e rendere più attraenti le loro carriere”. Sono molti i Paesi Ocse che si trovano ad affrontare una carenza di docenti, come peraltro racconta il Times di oggi illustrando la situazione in Gran Bretagna.

Lussemburgo e Ungheria, salari a picco

Lo studio internazionale spiega che i salari medi degli insegnanti a livello primario sono inferiori del 13 per cento rispetto a quelli degli altri lavoratori laureati. Per i professori della scuola secondaria superiore il divario è più contenuto: 5 per cento. Nei Paesi Ocse i salari medi legali per gli insegnanti della scuola primaria e secondaria sono cresciuti meno dell’1 per cento l’anno in termini reali dal 2015. In quasi la metà dei Paesi i salari reali sono diminuiti. In Italia sono diminuiti dell’1,3 per cento. In Lussemburgo lo stipendio lordo degli insegnanti della scuola secondaria superiore è diminuito dell’11 per cento dal 2015, in Ungheria il calo è stato del 7 per cento nello stesso periodo. Nel periodo di pandemia il calo si è acuito.

Secondo il rapporto, in molti Paesi la situazione probabilmente peggiorerà se si tiene conto dell’inflazione dell’ultima stagione. In generale gli Stati sviluppati  dovrebbero aumentare le opportunità di avanzamento di carriera, ridurre il carico di lavoro amministrativo degli insegnanti, migliorare l’immagine pubblica degli insegnanti e aumentare le retribuzioni.

Stipendi dei prof, solo la Francia peggio

In Italia il rinnovo del contratto è arrivato l’anno scorso. La retribuzione media annua di un professore di scuola secondaria superiore con quindici anni di esperienza in media nei Paesi industrializzati ammonta a 53.456 dollari, in Italia si ferma a 44.235 dollari a parità di potere d’acquisto (che è l’equivalente di 32.588 euro). In Germania la retribuzione per la stessa categoria di insegnanti sfiora 97.000 dollari, in Olanda è oltre 85.000, in Lussemburgo supera i 112.000. Anche la Spagna (56.000 dollari) e il Portogallo (44.277 dollari) superano sul parametro stipendi il nostro Paese, mentre l’istruzione francese eroga salari inferiori a quella italiana (43.800 dollari).

Professionali, difficoltà a trovare lavoro

La transizione scuola-lavoro in Italia è difficoltosa anche per i giovani che hanno frequentato gli istituti professionali: fanno più fatica ad approdare a un’occupazione rispetto agli studenti di quasi tutti i Paesi industrializzati e devono, in ogni caso, accontentarsi di scarsi vantaggi salariali. Almeno all’inizio. Ecco, il rapporto Ocse quest’anno punta i riflettori sull’istruzione professionale.

“E’ un’istruzione vitale, offre un’alternativa all’istruzione accademica, fornisce agli studenti competenze orientate alla pratica e all’occupabilità, facilita la transizione scuola-lavoro e risponde alla richiesta di lavoratori qualificati che viene dall’economia”, si legge nell’editoriale del direttore generale Ocse, Mathias Cormann.

Da noi solo la metà trova subito lavoro

In Italia l’istruzione professionale attira ancora i giovani, visto che il 40 per cento degli studenti tra i 15 e i 19 anni sono iscritti in scuole secondarie professionali, quando la media all’estero è del 23 per cento. Tuttavia, a due anni dalla conclusione del percorso di studi solo il 55 per cento ha un’occupazione, il tasso più basso dell’area dopo la Grecia (53 per cento), di fronte a una media del 79 per cento. In Germania, Olanda e Norvegia il tasso di occupazione arriva al 90 per cento, in Islanda al 99.

La percentuale dei Neet (i giovani che non sono né al lavoro, né a scuola o in formazione tra i 15 e i 34 anni) con un diploma professionale in Italia è del 28,1 per cento, il più alto dopo la Grecia, contro il 12 per cento degli “altri” coetanei con un diploma di scuola secondaria generale e contro la media Ocse del 15,2 per cento. In Olanda i “senza scuola né lavoro” sono il 4 per cento, in Germania il 5. “Questi numeri indicano che i programmi di istruzione professionale in Italia affrontano significative difficoltà nel facilitare la transizione dei loro studenti al mercato del lavoro”, sottolinea il rapporto.

Diplomati professionali malpagati subito

Per gli occupati le soddisfazioni retributive sono limitate. I 25-34enni con un diploma di istruzione professionale secondario o post-secondario guadagnano solo il 4 per cento in più dei loro coetanei senza titoli di scuola superiore. “E’ il dato più basso di ogni altro paese Ocse”, rileva lo studio. Questo è in contrapposizione con il recupero che avviene più avanti: il vantaggio in termini retributivi sale al 40 per cento tra i 45-54enni, numero significativamente più alto della media internazionale, che si ferma al 23 per cento.

Il tasso di disoccupazione tra i 25-34enni – stiamo parlando di un’età più avanzata, quindi – con un diploma professionale di scuola secondaria è del 10,7 per cento contro il 13 dei diplomati dei licei. Gli studenti delle scuole professionali hanno però più difficoltà rispetto ai coetanei liceali a stare al passo con il percorso di studi: solo il 55 per cento, infatti, lo completa nei tempi previsti contro il 79 per cento degli studenti degli indirizzi generali di scuola secondaria superiore.

Negli istituti professionali gli studenti che arrivano alla Maturità senza una bocciatura sono il 55 per cento contro il 79 per cento dei liceali. Nell’insieme, riesce ad arrivare in fondo il 70 per cento dei ragazzi che sceglie questo tipo di scuole contro il 90 per cento dei liceali. Osservano gli esperti dell’Ocse: «Un diploma di un istituto superiore è il livello minimo di istruzione richiesto per partecipare con successo al mercato del lavoro».

Solo uno su cinque è laureato

Tra i 25 e i 64 anni il numero di quanti hanno un diploma secondario (43 per cento) è più del doppio rispetto ai laureati che restano solo il 20 per cento della popolazione in età lavorativa, il dato più basso dell’intera area industrializzata. E’ la metà rispetto alla media. In Canada i laureati sono il 60 per cento, in Giappone il 56 per cento, negli Usa il 50 per cento, in Francia il 44 per cento, in Germania il 33 per cento.

I bassi investimenti

Il rapporto si sofferma sugli altri storici punti deboli della scuola italiana, a cominciare dagli investimenti complessivi. In Italia sono pari al 4,2 per cento del Prodotto interno lordo contro una media del 5,1 per cento. Le risorse vanno per il 30 per cento all’istruzione primaria, per il 16 per cento alla secondaria di primo grado, per il 30 per cento alla secondaria superiore e per il 24 per cento all’istruzione universitaria. Una spesa di 11.400 dollari l’anno per studente contro una media di 12.600.

Tra il 2019 e il 2020 – durante la pandemia di Covid 19 – in media nell’area Ocse la spesa per studente è aumentata dello 0,4 per cento. In Italia è diminuita dell’1,3 per cento.

Pochi prof e anziani

In Italia c’è un professore di scuola superiore ogni 11 studenti contro i 14 nell’area di riferimento e il rapporto scende a 1 a 9 negli istituti professionali (1 a 15 all’estero). Resta nostro il primato dell’età dei professori nella scuola superiore: il 61 per cento ha oltre 50 anni contro il 39 per cento medio nei Paesi Ocse. Nella scuola dell’infanzia le donne costituiscono quasi tutto lo staff (il 99 per cento), nell’istruzione universitaria oltre il 60 per cento è formato da uomini.

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