Educazione alle relazioni: cosa c’è nel piano Valditara
di Riccardo Antoniucci, Il Fatto Quotidiano
Le associazioni (mai consultate): “Rischia di riprodurre gli stereotipi di genere”.
Il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara ha presentato mercoledì 22 novembre il progetto per contrastare la violenza di genere nelle scuole, ampiamente annunciato nei mesi scorsi sull’onda dei casi di cronaca. Si intitola “Educare alle relazioni” e al momento oltre al titolo contiene solo alcune scarne linee guida, che però bastano ad attirare le critiche di sindacati e associazioni che si occupano di violenza. Il documento di 3 pagine e cinque articoli, si rifà alla direttiva “Educare al rispetto” varata nel 2016 (in attuazione di una legge del 2015) dall’allora governo Paolo Gentiloni, con ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli.
30 ore facoltative, solo per le superiori – Il piano è finanziato con 15 milioni, provvisoriamente. Ma almeno tre elementi mettono in dubbio l’efficacia del progetto, al di là dell’opportunità politica di offerta dal femminicidio di Giulia Cecchettin. Lo stesso ministro, del resto, ha riconosciuto che il progetto è nato sull’impulso “dagli eventi della scorsa estate, come lo stupro di Palermo e di Caivano”. Innanzitutto il progetto di Valditara è una direttiva ministeriale, quindi non è obbligatorio per le scuole seguirla. Si legge infatti nel testo: “Le istituzioni scolastiche possono, nell’ambito della loro autonomia, attivare iniziative progettuali che prevedano il coinvolgimento attivo degli studenti anche in gruppi di discussione coordinati da docenti”. In secondo luogo, il piano è rivolto, anche se in via “sperimentale”, solo agli istituti superiori, per studenti dai 15 anni in su. Infine, anche se nella direttiva non è specificato, Valditara ha precisato in conferenza stampa che i moduli del progetto saranno extracurriculari, cioè facoltativi per gli studenti, e dureranno in tutto 30 ore.
Al centro docenti e famiglie – Si dà indicazione di prevedere in questi progetti un docente referente, la costituzione di “focus group” divisi per classi, con un docente moderatore che dovrà essere formato secondo un percorso affidato all’Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa (Indire), con la collaborazione dell’ordine degli psicologi e di “atri organismi scientifici e professionali qualificati” non meglio specificati. Come non è specificato il contenuto della formazione. Viene specificato inoltre che il progetto non potrà essere avviato senza il consenso dei genitori e degli studenti, e infatti il ministero ha affidato al Forum nazionale delle associazioni dei genitori della scuola (Fongas) “il compito di raccordare le modalità di attuazione dei percorsi progettuali con le esigenze e le osservazioni migliorative delle rappresentanze dei genitori”.
Un metodo dell’800 – La teoria psicologica di riferimento citata come riferimento di questi “focus group” di educazione alle relazioni è ispirata al metodo di Balint, che nasce in ambito medico e con lo scopo di migliorare le relazioni tra paziente e curante e promuovere il benessere lavorativo. Il metodo è stato elaborato dallo psicanalista Michael Balint nel 1846 e si indirizzava al lavoro dei medici di famiglia. Oggi ha applicazioni in ambito di impresa, ma nessuna nell’ambito del contrasto alla violenza di genere o educazione alle relazioni.
Quanto ai contenuti, al momento è possibile dedurre qualcosa soltanto dalle dichiarazioni di Valditara, che ha parlato di coinvolgimento dell’Ordine degli psicologi e di possibilità di intervento, durante le 30 ore, di figure esterne come psicologi o “influencer, cantanti e personaggi amati dai ragazzi in qualità di ambassador”. Tra cui si menzionano esperti in educazione affettiva e relazionale, avvocati, assistenti sociali, operatori di organizzazioni attive nel campo del contrasto alla violenza di genere.
Secono le anticipazioni diffuse sulla stampa, il piano prevederebbe addirittura di chiedere allo studente di scrivere a fine percorso una relazione sull’esperienza svolta e che gli elaborati poi, dovranno essere inviati al Ministero dell’istruzione .
Le associazioni: “Rischia di riprodurre gli stereotipi” – Di contro, non sono state consultate dal ministero associazioni che si occupano di violenza di genere o educazione di genere da anni in Italia. Non è stata chiamata in causa, per esempio Differenza Donna, onlus di contrasto alla violenza sulle donne, che con la responsabile dell’area formazione Sabrina Frasca spiega al Fatto: “L’intento di lavorare sulla violenza contro le donne a scuola è condivisibile, ma il dispositivo è parziale. Non solo perché lasciato alla volontarietà, ma perché la formazione dei docenti è affidata a Indire e all’Ordine degli psicologi senza prevedere le professionalità di chi lavora quotidianamente con le vittime di violenza. Noi associazioni riteniamo che la violenza di genere sia un prodotto e un problema culturale, qui mi sembra la si voglia schiacciare sulla psicologia, come fosse una questione di devianza o la sanità mentale”.
Anche per Monica Pasquino, presidente della rete di associazioni territorialiEducare alle differenze attiva da 10 anni (non consultata dal Ministero) la volontarietà è il limite più grande: “Difficilmente un ragazzo o un genitore che nega l’esistenza della violenza contro le donne accetterà di partecipare”, spiega al Fatto. Pasquino vorrebbe che la formazione fosse affidata a professionalità competenti, dai centri antiviolenza ai consultori. Affidare la gestione dei focus group a docenti non specialisti, anche dopo un corso di formazione, rischia addirittura di riverberare i fondamenti della violenza: “Chi studia queste tematiche sa che la violenza di genere è un iceberg, dove la punta è la violenza fisica, ma tutto il resto è fatto da una cultura sessista di sistema. Se si vuole lavorare per prevenire bisogna lavorare su stereotipi, pregiudizi, modelli che circolano tra ragazzi e ragazze, libri di testo e strumenti educativi. Questi insegnanti avranno fatto i conti con i loro stereotipi?”.
“I docenti assumono anche la funzione impropria di psicoterapeuti”, è anche la posizione della Flc Cgil, che in comunicato ha “bocciato” il progetto di Valditara. Il sindacato dice di ritenere “inaccettabile che al Forum nazionale delle associazioni dei genitori della scuola venga attribuita una funzione di orientamento delle attività svolte all’interno dei progetti, condizionando le scelte progettuali delle scuole, e che i genitori siano chiamati in causa solo per l’acquisizione del consenso sottovalutandone il ruolo centrale in quanto primi corresponsabili dell’azione educativa nei confronti dei figli”.
La polemica sul coordinatore Amadori – Ha fatto polemica negli ultimi giorni il fatto che il coordinamento del progetto sia stato affidato ad Alessandro Amadori, ex sondaggista e spin doctor di Valditara, autore di un saggio con tesi controversi e a tratti non scientifiche sulla violenza di genere intitolato La guerra dei sessi. Mercoledì in conferenza stampa Valditara ha negato che Amadori fosse responsabile del progetto, ma già a settembre il diretto interessato parlava con il Fatto di questo argomento confermando di partecipare all’elaborazione delle linee guida.
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