Scuola e «quote blu». Ma è giusto dare la precedenza agli uomini nei concorsi?
Il Corriere della sera
Dalla maestrina dalla penna rossa di De Amicis a oggi, il miraggio della parità di genere. Per attrarre più uomini bisognerebbe alzare gli stipendi che sono rimasti bassi anche a causa della femminilizzazione della professione docente
Nel bando del concorso ordinario per dirigenti scolastici pubblicato il 19 dicembre fa discutere la precedenza accordata al genere maschile, a parità di punteggio complessivo da applicarsi in 16 regioni in cui il differenziale di genere è superiore al 30 per cento.
A fronte delle perplessità anche sindacali, emerse già dopo la lettura della bozza del documento, il Ministero dell’Istruzione e del Merito ha precisato che quanto disposto è coerente con l’obiettivo di garantire l’equilibrio di genere ai vertici delle P.A. (D.P.R. n. 82 del 16 giugno 2023), con la conseguenza che la scelta, a parità di meriti e titoli, dovrebbe cadere sul candidato meno rappresentato dal punto di vista del genere. Con una generica, ma efficace, semplificazione si è parlato dell’introduzione delle «quote blu» (definizione che il MIM respinge con forza).
Come ovvio, questa novità avrà particolare rilevanza nel mondo della scuola. Dando per scontato che qualsiasi selezione del personale dovrebbe avvenire sulla base delle competenze e del merito, specialmente laddove si parla di cosa pubblica, viene da chiedersi se non si tratti della riproposizione del vecchio modello che vede l’uomo al comando di un corpo docenti composto nella gran parte da donne (e infatti la stessa logica verrà applicata anche nei prossimi concorsi per insegnanti). Se la scuola deve rappresentare un laboratorio del futuro, anche sociale, del Paese, non è possibile trovare altre vie per superare il gender gap?
Tra l’altro chi vive nel mondo della scuola non ha certo la percezione di una deliberata marginalizzazione degli uomini. Nella nuova prospettiva, piuttosto, sembrerebbe riproporsi l’antica struttura dell’uomo in posizione dirigenziale rispetto al corpo docente, che, come è noto, è prevalentemente femminile.
Se si vuole colmare il divario di genere nella scuola, occorre non tanto premiare gli uomini, quanto cercare di capire il perché della scarsa presenza di docenti (e non di dirigenti) uomini. Se, per una volta, le donne sono in percentuale maggiore degli uomini in ruoli più elevati, perché procedere per sottrazione? Forse per un malinteso senso dell’uguaglianza? Ancora, una volta portata la bilancia in parità, finalmente sarà legittimato un adeguamento degli stipendi?
Un passo indietro
La scuola è il luogo in Italia in cui le donne sono riuscite a porre le basi per la conquista di quell’ autonomia che ha permesso loro di pensare ad un futuro sganciato dal modello familiare patriarcale/maschilista. È interessante indagarne le ragioni perché in qualche modo si legano all’immagine della donna-insegnante consegnata alla tradizione.
Un breve excursus storico può essere illuminante. Il grande bisogno di personale scolastico del giovane Stato unitario giocò a favore delle donne: come non ricordare la figura della Maestrina dalla penna rossa, la cui descrizione ben rimanda al ruolo di «cura» che definisce ancor oggi la maestra? «Sempre allegra, tien la classe allegra, […], corre come una bimba dietro all’uno e all’altro per rimetterli in fila; e a questo tira su il bavero, a quell’altro abbottona il cappotto perché non infreddino; li segue fin sulla strada perché non s’accapiglino, supplica i parenti che non li castighino a casa e porta delle pastiglie a quei che han la tosse, e impresta il suo manicotto a quelli che han freddo; ed è tormentata continuamente dai più piccoli che le fanno carezze e le chiedon dei baci… ». Non è un caso che, per molto tempo, l’indirizzo di studi che, per elezione, veniva associato alle donne, era l’Istituto magistrale, in cui si formavano le future insegnanti che avrebbero dovuto perpetuare un determinato codice sociale.
L’aver favorito una femminilizzazione del lavoro docente ha avuto delle conseguenze evidenti, quali una bassa remunerazione e una scarsa attenzione alle condizioni di lavoro delle insegnanti e al loro ruolo sociale. D’altro canto, le donne non solo non erano sindacalizzate, ma nemmeno godevano di pari diritti rispetto agli uomini, con la deprecabile conseguenza che le si poteva pagare meno dei colleghi maschi.
Al giorno d’oggi non è più così, gli stipendi delle insegnanti donne e degli insegnanti uomini sono stati equiparati, ma è innegabile che rimangano bassi. Il percorso che ha portato all’istruzione obbligatoria anche per le ragazze è stato lungo e faticoso: come non ricordare le restrizioni messe in atto dal regime fascista che impose una tassa più alta per l’iscrizione femminile alle scuole secondarie e all’Università? Bisogna arrivare alla riforma del 1962 per avere una effettiva equiparazione del diritto allo studio tra ragazzi e ragazze.
Cosa è cambiato
Eppure, il mondo della scuola – che molto ha fatto per la parità – a quanto risulta continua a portare in sé gli antichi retaggi. Permangono gli stereotipi di genere, in virtù dei quali una scuola con predominanza del genere femminile sembrerebbe una scuola «manchevole».
Forse ci si dimentica che la scarsità di insegnanti maschi nella scuola primaria è da ascriversi non solo allo stereotipo di genere secondo cui una donna è per natura portata all’accudimento dei bambini, ma anche alla bassa remunerazione e alla scarsa considerazione sociale di cui il ruolo gode. Le famiglie, in genere, si aspettano per il figlio maschio professioni più gratificanti e socialmente riconosciute. Solo la docenza universitaria mantiene intatto il suo prestigio, tanto che la quota di maschi è superiore a quella delle donne, specie nelle facoltà STEM.
Ecco, si potrebbe ribaltare questa realtà rendendo appetibile anche al genere maschile l’insegnamento nei primi cicli scolastici. Ancora, si dovrebbe fattivamente superare il radicato stereotipo secondo cui le ragazze non sarebbero naturalmente portate per alcuni corsi di studio o per alcune discipline, per così dire poco adatte all’idea del femminile ancorato al mos maiorum.
Non abbastanza si è fatto per incentivare le facoltà STEM tra le ragazze. Ed è terribile scoprire che negli ultimi anni, secondo l’Ocse-Pisa, le studentesse sono peggiorate in modo consistente nel padroneggiare contenuti e competenze logico-matematiche. Ancora più sconcertante scoprire che gli stessi giovani studenti percepiscano come un dato naturale la superiorità del maschio nel mondo del lavoro.
Senza retorica: che l’emancipazione femminile passi attraverso cultura e scuola pare a tutti evidente, visto il meritato successo del bel film della Cortellesi, sempre che, a renderlo tale, non sia stato solo il nostalgico revival di un’epoca consegnata al passato. In realtà, bastano pochi fotogrammi per focalizzare il messaggio sotteso: il cammino verso la parità è arduo e intriso di sofferenza, ma incompiuto se non corroborato dall’andare a scuola.
docenti di Lettere dell’IISS A. Greppi di Monticello in Brianza (Lecco)