«Quote blu» a scuola, basta ipocrisie: docenti pagati poco perché in maggioranza donne

di Marco Ricucci, Il Corriere della sera

Le nuove norme sui concorsi della Pa che a parità di punteggio favoriscono gli uomini e il grande non detto sulla femminilizzazione della professione insegnante: stipendi bassi e scarsa considerazione sociale frutto anche di un sotterraneo pregiudizio di genere.  

 

Col nuovo concorso a dirigenti scolastici e a docenti, appena banditi, pare di trovarsi in un film di Fausto Brizzi, uscito qualche anno fa: «Femmine contro maschi». Ha fatto molto discutere l’applicazione delle cosiddette «quote blu» nel mondo della scuola a prevalenza femminile: in sostanza, a parità di punteggio prevale come criterio l’essere maschio invece che femmina, per «bilanciare» un sesso rispetto all’altro. Ebbene, la pronta giustificazione prodotta dal Ministero dell’Istruzione e del Merito è la volontà di perseguire l’obiettivo di garantire l’equilibrio di genere ai vertici delle Pubblica Amministrazione (D.P.R. n. 82 del 16 giugno 2023).

Le professoresse Anna Rosa Besana e Rossella Gattinoni, in un loro illuminante articolo, mettono in luce come la femminilizzazione del lavoro docente, sin dalla creazione del Regno di Italia, abbia prodotto come conseguenza la bassa remunerazione e la svalutazione del ruolo sociale dei docenti e dirigenti, che sono stati docenti a loro volta. Ma per capire meglio e più concretamente questo punto solo accennato dalle colleghe, leggiamo, dal saggio Non sparate sulla scuola di Gianna Fregonara e Orsola Riva, le precise informazioni che seguono la lista delle incombenze dei docenti nella scuola attuale: «Il tutto per il 1350 euro netti a inizio carriera, che arrivano a 2000 per chi è vicino alla pensione…una professione con la carriera piatta, cioè inesistente, a meno di voler affrontare il concorso per diventare preside, cioè dirigente dello Stato: ce ne sono circa 8000 in tutta Italia. (…) Lo stipendio dei docenti italiani resta stabilmente al di sotto della retribuzione dei loro colleghi europei, se si escludono i Paesi dell’Est: non solo partono sfavoriti, ma col passare del tempo restano sempre più indietro». Anche la categoria dei presidi, attraverso le sue associazioni e sindacati, lamenta da sempre un trattamento diverso, rispetto ai dirigenti di altre parti della P.A.: in particolare condizioni salariali del tutto inadeguate rispetto al carico di mansioni e responsabilità di cui sono detentori, lontanissimo dalla reale necessità di essere un «leader pedagogico» nella scuola di oggi.ù

Se i governanti italiani fin qui succedutisi non hanno mai ritenuto necessario adeguare lo stipendio dei docenti agli standard degli altri Paesi dell’Europa occidentale forse è anche perché, essendo gli insegnanti in maggioranza donne, si ritiene che i magri compensi possano essere compensati dai vantaggi di un lavoro part-time, che agevola l’accudimento della prole. Maestre e professoresse possono godere di lunghe vacanze per stare con la famiglia e «appagare» il loro senso materno nel contatto con bambini e adolescenti.

Naturalmente non si tratta solo di una questione stipendiale, poiché anche la dimensione sociale e culturale ha la sua influenza. Chi lavora a scuola sa che insegnare oggi è diventato molto più difficile e impegnativo rispetto a un tempo, sia per la complessità sociali e per le sfide educative dei tempi in cui viviamo, sia per l’aumento esponenziale del carico di incombenze burocratiche, che poco hanno a che fare con l’insegnamento tradizionalmente inteso. Se si vuole davvero cercare di riequilibrare lo sbilanciamento di genere nel corpo insegnante (80 per cento di donne contro un misero 20 per cento di uomini) è ora di alzare il sipario sulle vere ragioni per cui sono pochissimi gli uomini che decidono di intraprendere la professione di insegnante (possibilmente non come un ripiego).

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Marco Ricucci è docente dell’I.I.S. Italo Calvino di Rozzano (MI)

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