Nasce la Fondazione per la Scuola Italiana: fine dell’istruzione pubblica
di Michele Lucivero, pressenza
All’indomani dell’approvazione dell’Autonomia Differenziata da parte del Parlamento, il governo attuale, espressione palese di una forma di capitalismo affaristico tesa allo smantellamento totale dello Stato e, con esso, del Welfare, mostra esplicitamente il progetto pensato per la scuola del futuro, rendendo molto più chiaro il teorema che avevamo cercato di argomentare, in tempi per noi già piuttosto sospetti, all’interno di un circostanziato e puntuale dossier pubblicato su ROARS il 17 febbraio 2024 dal titolo La Scuola 4.0 nel quadro dell’autonomia differenziata.
La notizia di qualche giorno fa (risale solo al 24 giugno 2024), pubblicata anche sul sito del Ministero dell’Istruzione e del Merito, è che a pochi giorni dal varo del disegno di legge proposto da Roberto Calderoli della Lega, ma agevolato all’inizio anche dal Partito Democratico con Stefano Bonaccini, governatore dell’Emilia-Romagna, in prima fila insieme a Luca Zaia(Veneto) e Attilio Fontana (Lombardia), il ministro Giuseppe Valditarapresiede in pompa magna al lancio della Fondazione per la Scuola Italiana, un ente no profit pronto ad aggredire la scuola pubblica insieme a Leonardo S.p.A., Enel S.p.A., Autostrade per l’Italia S.p.A. e, immancabili, gli strumenti principali del finanzcapitalismo transnazionale, cioè le banche UniCredit e Banco BPM.
Il teorema che avevamo cercato di dimostrare a febbraio, che all’epoca suonava come una nefasta profezia, si è, dunque, già in parte realizzato mediante la neonata Fondazione per la Scuola Italiana, con un’accelerazione sul corso degli eventi che lascia intendere, già in questi termini, la predisposizione di un quadro piuttosto fosco in relazione alla scuola, quella che un tempo era pubblica.
Il cuore della nostra critica all’Autonomia Differenziata, limitatamente all’impatto sul mondo dell’istruzione e della formazione, consisteva nel dimostrare che al sud (ma non solo), in mancanza di un tessuto economico adeguato in grado di sostenere l’offerta formativa sia negli indirizzi professionali sia, soprattutto, in quelli tecnici e liceali, potesse intervenire quella che abbiamo definito la quadruplice radice del principio di ragione capitalistica con i suoi settori strategici, vale a dire quello energetico, digitale, farmaceutico e militare, trainati, ovviamente, dal capitalismo finanziario, nel deturpare, con i suoi tipici metodi estrattivi ed espropriativi, le ragioni educative, formative e pedagogiche della scuola pubblica, laica, pluralistica e statale.
Il punto principale della questione sta nel fatto che il divario economico e sociale tra le diverse aree del Paese costituisce una pesante discriminante nel mondo dell’istruzione e della formazione, nella misura in cui al nord (ma soprattutto Lombardia, Piemonte, Veneto ed Emilia-Romagna) l’indotto dei Centri di Formazione Professionale (CFP) a direzione regionale, che lavorano a stretto contatto con le imprese locali, formano e drenano una parte consistente della popolazione studentesca da immettere a stretto giro e, diremmo, più o meno a Km0, all’interno del mondo lavorativo, circostanza che non ha un analogo corrispettivo nel Mezzogiorno.
Nel sud del nostro Paese, infatti, sta già accadendo da qualche anno ciò che avviene in quasi tutte le aree del mondo soggette a sfruttamento, cioè accade che la logica della differenziazione politica e giuridica, quella legata ai processi di autonomizzazione, che conduce poi, secondo Nancy Fraser1, direttamente a fenomeni connessi con la razzializzazione e l’espropriazione, risulta funzionale e agevola l’accumulazione capitalistica. Detto in termini più concreti, accade che non essendoci al sud un consistente indotto di Formazione Professionale regionale, le aree del sud pesano maggiormente sulle casse dello Stato per il capitolo dell’Istruzione sia per quanto riguarda quella liceale e tecnica, che poi entrerà, presumibilmente, nel canale della formazione universitaria per aprirsi il ventaglio delle possibilità lavorative in ambito nazionale e internazionale, sia per quanto riguarda il canale della formazione professionale, inserita perlopiù all’interno del percorso statale e destinata poi ad ingrossare le fila della disoccupazione e della sottoccupazione.
Ora, qualora le regioni del nord (come si presume) dovessero richiedere maggiori competenze in materia d’Istruzione pubblica (precisiamo ancora una volta che per la Formazione professionale già era prevista la competenza regionale), in virtù dell’applicazione dei dettami dell’Autonomia Differenziata, accadrebbe che licei e tecnici sarebbero inondati da risorse economiche private derivanti dalle Fondazioni, interessate essenzialmente a drenare “risorse umane” ad alta specializzazione da immettere nel loro indotto produttivo, rendendo così evidente lo squilibrio tra scuole del nord e scuole del sud sia relativamente alle strutture, alle infrastrutture, alle dotazioni sia relativamente alle presunte opportunità lavorative in affascinanti ed accreditati settori industriali. Chiaramente, il ricatto studiato a tavolino mediante l’Autonomia Differenziata per le regioni del sud consiste nel comprendere che per colmare un tal gap differenziale non occorre fare altro che richiedere allo Stato più autonomia regionale per la medesima materia dell’Istruzione e magari, per analogia, anche per molte altre.
C’è da dire che tutto questo processo non è affatto una novità, ma i tasselli di questo percorso di smantellamento dell’Istruzione pubblica e di aggressione da parte del settore privato devono essere postdatati di diversi anni. Se un primo passo fu l’istituzione dei PCTO (Percorsi per le Competenze Trasversali e per l’Orientamento) anche per i licei e i tecnici nel 2015 con il governo Renzi, il secondo passo fu quello di agevolare la stesura di protocolli con aziende e rappresentanti del capitalismo affaristico nelle more delle interessanti e necessarie sperimentazioni per il licei futuristici e à la page. È così che si è fatta strada negli anni scorsi, presentata come sperimentazione all’insegna della cultura STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics), l’istituzione di un Liceo della Transizione Ecologica e Digitale (TED), la cui offerta formativa risulta guidata dal Consorzio Elis, capitanano da banche, grandi imprese, tra cui SNAM, Business Schools e università private.
Ora, al di là della questione relativa al divario economico e sociale che l’Autonomia Differenziata accelererà tra nord e sud del nostro Paese, tema su cui la letteratura giuridica e sociologica ormai ha prontamente risposto, vorremmo soffermarci su un altro aspetto di rilevanza etica, che già mettemmo in evidenza nel 2022 a fronte della sperimentazione proprio del Liceo della Transizione Ecologica. Ciò che risulta imbarazzante, soprattutto per chi poi deve occuparsi di educazione civica, educazione ambientale e diritti umani nelle aule scolastiche, è dover spiegare che il Liceo TED genera un ibrido giuridico nell’istruzione pubblica per cui si permette di far entrare nelle proprie strutture formative una società come la SNAM, che pontifica sulla necessità di puntare sull’ecologico, quando poi è il WWF a denunciare e a fare ricorso al Capo dello Stato contro la stessa SNAM perché essa intende costruire un inutile metanodotto in Abruzzo. Così come occorre chiedersi quale voce possa levare la SNAM sulla transizione ecologica nella nostra scuola pubblica e statale, a fronte dei suoi interessi nella costruzione del gasdotto TAP a Melendugno, le cui connessioni a dir poco imbarazzanti con l’Azerbaijan furono mostrate già nel 2016 dai giornalisti di Report.
Oggi con la Fondazione per la Scuola Italiana si realizza un connubio nefasto che attraverso l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università cerchiamo di smascherare da alcuni anni ormai, vale a dire l’invasione da parte del settore più aggressivo della quadruplice radice del principio di ragione capitalistica, quello militare, nella scuola pubblica italiana.
La Fondazione per la Scuola Italiana schiera così in prima linea uno dei colossi principali dell’indotto militar-industriale italiano, Leonardo S.p.A., collocato nella top ten delle aziende al mondo per produzione di armi; una delle industrie più impegnate nell’esportazione di materiale bellico anche nelle guerre in corso nel medio e vicino Oriente (come documentato da weaponwatch.net); la più accreditata e quotata in Italia, con fatturati decisamente importanti, che si avvale della compartecipazione dello Stato e della Cassa Depositi e Prestiti nell’azionariato.
Leonardo S.p.A., in realtà, è da tempo entrata a più riprese mediante la Fondazione Leonardo La civiltà delle macchine e la Fondazione Med-Orrispettivamente nelle scuole e nelle università, nel primo caso finanziando progetti sul digitale e portando alunni e alunne con i PCTO all’interno delle aziende produttrici di strumenti di morte, nel secondo mediante la cooptazione di ben tredici rettori di Università pubbliche all’interno del proprio consiglio di amministrazione. Solo in seguito alle pressioni dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università, che aveva lanciato una petizione per chiederne le dimissioni, e le manifestazioni degli studenti e delle studentesse dell’Ateneo barese si sono ottenute le dimissioni del Rettore dell’università di Bari, prof. Stefano Bronzini, dalla predetta Fondazione Med-Or, mentre a Napoli alle promesse del Rettore non ha fatto seguito alcuna reale iniziativa.
Con questa prima Fondazione per la Scuola Italiana, dunque, alla quale seguiranno indubbiamente molte altre, il settore militare e quello energetico, sostanziati dal capitalismo finanziario, entrano nella scuola per dettare finalità e imprimere direzioni in cambio di finanziamenti, di dotazioni informatiche, di strumentazioni tecniche. Tale aggressione da parte di aziende di punta del capitalismo estrattivo ha il duplice scopo, come accade ormai anche nella sanità regionale, di gonfiare intanto il proprio fatturato, essendo esse stesse impegnate nella vendita di materiale, magari con finanziamenti europei, ma soprattutto, in relazione al capitalismo di guerra, di reclutare e indottrinare risorse umane docili e acritiche da immettere nella produzione e nel consumo di strumenti di morte, contribuendo a rendere la guerra una opzione economica e, in quanto tale, avalutativa sul piano morale, ma conveniente su piano del profitto.
E alla fine, per chiudere il cerchio, giova ricordare ancora una volta, qualora la storia non avesse insegnato ancora nulla – come pare – che il capitalismo, che necessita congiuntamente, di volta in volta, di politiche economiche liberiste o neoliberiste e di retoriche ideologiche nazionalistiche o razzializzanti, non può non curare l’aspetto della repressione per realizzare i suoi progetti senza intoppi. Non cogliere il nesso tra lo sviluppo del neoliberismo maturo e il funzionamento del sistema di repressione, che avviene a detrimento delle potenziali aree di conflittualità, cioè la scuola, l’università e i confini di Stato, significa non comprendere il vero volto del capitalismo, quello regolato dallo Stato insieme alla finanza internazionale.
È in quest’ottica che deve essere letta e compresa la militarizzazione e la repressione imperante dei giorni nostri, che avviene presidiando quei gangli fondamentali della società civile che producono cultura, come la scuola, l’università e i confini di Stato, settori che generano soggettività da immettere all’interno di un nuovo ed inedito mercato del lavoro da irreggimentare, da indottrinare, da rendere docile per lo sfruttamento. È nelle scuole, nelle università e ai confini di Stato, ambiti lasciati scoperti da una popolazione adulta sempre più depauperata politicamente, indifferente ai fenomeni di trasformazione del sociale e in balia di processi culturali inerziali, perlopiù mediatici, di costruzione della realtà, che si abbatte il sistema di repressione necessario al funzionamento del liberal-capitalismo, come abbiamo argomentato qualche giorno fa su pressenza.it.
E ci tocca essere, ancora una volta, profetici nel mostrare queste connessioni, giacché è precisamente nell’ottica che abbiamo delineato che va letto l’articolo 11 del ddl sicurezza, varato a novembre su proposta del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, che ha avuto il via libera il 27 giugno 2024. Da oggi, che siano le alunne e gli alunni medi a protestare, manifestando con metodi nonviolenti, contro le guerre in corso, che siano le studentesse e gli studenti universitari di Ultima Generazione a mettere in scena azioni dimostrative per sensibilizzare al cambiamento climatico o che siano le immigrate e gli immigrati o le operaie e gli operai a scioperare e bloccare qualche arteria importante per l’efficienza capitalistica, scatta indifferentemente il carcere dai sei mesi ai due anni. Non a caso tale grave limitazione del diritto di manifestare è stata definita “norma anti-Gandhi” da Devis Dori di Alleanza Verdi e Sinistra, a dimostrazione che il capitalismo onnivoro, nelle sue forme coloniali, razzializzanti, estrattive e repressive, gode di buona salute e prosegue indisturbato il suo percorso di cannibalizzazione della democrazia, del senso di comunità e del nostro pianeta, per usare, ancora una volta, le parole di Nancy Fraser.
1 Cfr. N. Fraser, Capitalismo cannibale. Come il sistema sta divorando la democrazia, il nostro senso di comunità e il pianeta, Laterza, Roma-Bari 2022.
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