Corsi di specializzazione sul sostegno abbreviati, Ianes: “120 milioni da spartirsi”

di Fabio Gervasio, Orizzonte Scuola

Famiglie che confermano docente? “Insegnante non è della famiglia, ma della classe” Intervista

 

C’è una grande necessità di docenti formati sul sostegno, come soluzione il Ministero ha adottato dei provvedimenti con il decreto legge 71/2024, è la strada giusta? Ne abbiamo parlato con Dario Ianes, già docente ordinario di Pedagogia e didattica dell’inclusione all’Università di Bolzano, Corso di Laurea in Scienze della formazione primaria, co-fondatore del Centro Studi Erickson di Trento per il quale cura alcune collane, autore di vari articoli e libri e direttore della rivista «DIDA».

Professor Ianes, la mancanza di docenti specializzati sul sostegno è una carenza ormai cronica, con il decreto legge 71/2024, in questi giorni in fase di conversione in legge al parlamento, il Ministero ha provato ad avviare percorsi alternativi per coprire i buchi. Tuttavia sono in molti a criticare questo provvedimento, in particolare i docenti che si sono formati seguendo i percorsi fino ad oggi in vigore. Ci spiega quali sono le criticità emerse?

Dobbiamo partire da un dato ormai noto a tutti, ovvero che quella che viene chiamata la cronica mancanza di insegnanti specializzati è un dato drammatico. In alcune regioni del nord andiamo ad oltre il 40% ed anche dal punto di vista della scuola nel suo complesso, delle famiglie e dei ragazzi con disabilità non è accettabile questo discorso, mentre al sud è un po’ diverso. C’è questo squilibrio enorme tra richieste di cattedre sul sostegno e di fatto quello che le università possono formare attraverso i TFA, magari su questo punto ci torniamo dopo. Invece il punto da cui volevo partire era che il problema non è emergenziale di quest’anno o dell’anno scorso, ma è strutturale, nel senso che è insito nella struttura che abbiamo all’interno del nostro sistema formativo dove abbiamo degli insegnanti “normali” e quelli specializzati, come se fossero due mondi differenti. In realtà l’inclusione è un mondo unico e non due differenti, cioè l’appartenenza al lavoro in una classe inclusiva in una scuola inclusiva, che coinvolge tutti, non si può dividere ma unire.

Se continuiamo strutturalmente a tenere separate le cose, addirittura con classi di concorso specifiche, i docenti saranno ancora di più costretti a restare all’interno di questo ruolo che è separato ma di fatto separante in tante situazioni. Come abbiamo appena detto il problema è strutturale e non si può affrontare in maniera emergenziale come fa il decreto 71/2024. È come dire che all’improvviso ci siamo accorti che mancano 85.000 insegnanti specializzati e allo stesso tempo ci siamo accorti che ci sono degli insegnanti che hanno acquisito il titolo all’estero, ad esempio in Romania, in Albania o in altre parti d’Europa, ma che vogliono farselo riconoscere nel nostro Paese e noi non lo vogliamo fare, per cui c’è un contenzioso attivo con circa 10.000/11.000 docenti, quindi per ridurre la carenza si potrebbe da una parte con un corsetto aggiuntivo, che è la metà del TFA ordinario, riconoscere questi titoli, così da far anche ritirare il contenzioso in atto, e dell’altra abilitare, sempre con un corso ridotto, gli insegnanti che hanno tre anni di servizio, fatti con supplenze di incarichi sul sostegno, ecco che si immetterebbe un bel numero di docenti, anche se poi non sappiamo esattamente quanti, perché un conto sono le previsioni e un altro quelli che effettivamente percorreranno questa strada.

Ma con quale fine? È come se si facesse un passo avanti nel discorso inclusivo attraverso l’insegnante specializzato, ma questa è una mitologia, perché noi potremmo avere tutti gli insegnanti necessari specializzati, ma se non costruiamo le condizioni di una classe inclusiva e di una scuola inclusiva, non ci sarà inclusione, neanche se li abbiamo super specializzati. Se i Dirigenti Scolastici, i docenti curricolari e tutto l’ecosistema a scuola è espulsivo, noi potremmo avere 3, 5, 10 insegnanti specializzati in una classe ma saranno espulsi dal sistema da quella ecologia in quanto tale, per cui è un’operazione assolutamente destrutturata perché non affronta il tema fondamentale che non è l’insegnante specializzato, ma la scuola che deve diventare inclusiva, che deve avere una visione inclusiva e un percorso di formazione per tutti i docenti e una paziente opera di inclusività.

A questa svista, a questa visione parziale, il Governo, con la conversione del decreto 71/2024, mette una pezza attingendo a quei docenti di cui abbiamo parlato prima. Ma tutto questo va in contrasto con il sistema esistente, tant’è che i corsisti del TFA sono molto arrabbiati, perché oltre a fare un corso molto più lungo in presenza, almeno 8 mesi, con il tirocinio, con 9 laboratori, con 10 insegnamenti ed esami intermedi, che hanno sostenuto anche una spesa importante e per di più hanno dovuto pure affrontare una prova selettiva per accedere a questo percorso, si ritrovano dall’altra parte il collega che ottiene gli stessi risultati con un corso da 30 CFU online comodamente da casa, ecco che un po’ di arrabbiatura arriva.

INDIRE, un ente che è stato commissariato, dovrebbe realizzare dei corsi sul sostegno che saranno equiparati ai corsi universitari del TFA, è corretto questo tipo di approccio formativo e in cosa si differenziano?

Bisogna fare una precisazione, inizialmente sembrava che solo INDIRE potesse fare questi corsi, poi si è capito che esistono tre possibilità: la prima è che INDIRE autonomamente si fa i suoi corsi; la seconda è che le università, come grande categoria, autonomamente si fanno i loro corsi da 30 crediti, che sarebbero i corsi che già fanno ma dimezzati; la terza opzioni è che questi corsi vengano svolti in convenzione tra università e INDIRE. Partiamo dalla terza opzione, cosa ci guadagna una qualsiasi università a fare la convenzione con INDIRE se può fare questi corsi autonomamente?

È solo burocrazia che si mette in moto e immagino che qualsiasi Rettore di qualsiasi università preferisca dire al proprio gruppo che già fa i corsi da 60 CFU, con una progettazione rodata già da nove cicli, che possono tranquillamente creare un corso online da 30 CFU, così si può incassare una fetta di una torta importante che rappresenta questa opportunità formativa, si parla di circa 120 milioni da spartirsi, ovviamente sempre a carico del precario che caccia i soldi per fare un altro passo per la sua carriera.

È chiaro che gli atenei più dinamici entreranno sul mercato in maniera diretta, e qui metto in conto anche le telematiche che sono tendenzialmente dinamiche e che hanno già una dimensione online potente, che già fanno i 30 CFU per l’abilitazione alla secondaria, che saranno sul mercato appena esce fuori il Decreto Ministeriale che dovrebbe dire quali sono i contenuti essenziali di questi 30 CFU. I

mmagino che per l’opzione INDIRE, spiazzata da quello che abbiamo appena detto, possa valutare di non mettersi a fare questi corsi proprio perché ci sono già le università che già hanno tutto il loro apparato per farlo, è una mia supposizione, anche se non ho dati per dirlo, e immagino anche che qualcuno abbia manifestato qualche resistenza e a quel punto si è preferita la via del commissariamento, con l’azzeramento degli organi, in modo che ridefinendo lo statuto si possa legittimamente dare questi 30 CFU. Però, al di là del commissariamento, questa è un’operazione i cui tempi sono tutti sbagliati, perché ora che si mette in moto il commissariamento di un Ente, appena esce il decreto sui 30 CFU abbreviati le telematiche sono già fuori sul mercato, per cui hanno già preso tutto il mercato.

È un ragionamento in termini brutali, ma è per far capire che è inutile che dopo mesi spesi per il commissariamento, rifare lo statuto e via dicendo, arriva anche l’INDIRE, ma a quel punto tutte le persone che hanno un titolo per fare questo percorso lo avranno già fatto. Poi c’è un’altra “grana”, perché ci sono quegli insegnanti che sono già nel TFA ordinario e che avrebbero però i requisiti per fare quello dimezzato, a quel punto potrebbero optare di convergere sul percorso più breve, passando da 60 CFU a 30 CFU, per non parlare dei costi differenti tra i due percorsi, insomma c’è tutto un ambito inconosciuto che pesa su questa cosa.

Sono convinto che quando si mette mano in un campo così delicato come la scuola, con aspetti difficili da gestire come il precariato, la formazione e la specializzazione, bisogna già uscire con tutto pronto e non che si aspetti un pezzo alla volta, ma sappiamo che in questo Paese non è così, tant’è che ci sono tante manifestazioni di protesta, le critiche, le prese di posizione, la petizione per abrogare il provvedimento, insomma tutto un movimento soprattutto sostenuto da chi è in una condizione di precario all’interno di una scarsa qualità dell’offerta, perché passando da 60 a 30 CFU si ha esattamente la metà della formazione, per non parlare del fatto che dai laboratori e dai tirocini in presenza si passa a tutto online.

Lei già ci ha fatto un quadro della situazione, però le volevo chiedere se con i TFA dimezzati e i titoli esteri sanati con corsi integrativi, non rischiamo un impoverimento formativo che poi si tramuta in una maggiore difficoltà a gestire gli alunni bisognosi?

Sui corsi esteri è interessante capire di cosa si tratta, perché mi chiedo quale sia il senso dei corsi fatti in quelle nazioni dove non c’è inclusione. Facciamo un esempio, se mi vado a specializzare in neurochirurgia in un paese estero, che può essere il Kazakistan piuttosto che gli Stati Uniti, la Francia oppure l’Etiopia, le tecniche di neurochirurgia sono grossomodo le stesse, i pazienti sono simili. Ma nell’inclusione il discorso è diverso, lavori in un’ecologia di scuola complessa, a questo punto dobbiamo chiederci com’è la scuola in Albania o Romania, dove un docente acquisisce un titolo di specializzazione, ammesso che si sia frequentato qualcosa con un numero congruo di crediti, di ore di lezione eccetera, quindi partendo da questo presupposto i contenuti quali sono?

Ci sarà qualcuno che gli spiega cos’è la sindrome di Down o la paralisi cerebrale infantile, ma questa non è inclusione, è solo un piccolo pezzo di un discorso inclusivo. Inclusione vuol dire costruire una didattica inclusiva, ma se in quel paese c’è la didattica speciale, cioè lo fai fuori in classi speciali, allora che tipo di insegnamento può arrivare, è una cosa che non ha alcun senso.

Quindi anche qui dovremo aspettare un ulteriore decreto, secondo il decreto 71/2024, che dirà quali sono i requisiti e le modalità di riconoscimento e cosa fare per integrare, anche lì sarà complicato perché bisognerà decidere cosa riconoscere e cosa no e non vorrei essere nei panni degli atenei che faranno i 30 CFU e dovranno riconoscere gli insegnamenti validi, credo che anche lì alla fine sarà una sorta di sanatoria.

È chiaro che anche questo è un abbassamento dell’offerta formativa, è più qui il rischio di abbassamento che non nell’offerta formativa dei 30 CFU abbreviati fatti da una università che fa già i 60 CFU, perché a questa università, che ha già un percorso avviato, basterà trovare gli elementi essenziali e li concentra, proverà a supplire le attività di tirocinio con qualche laboratorio interattivo, in modo da costruire un percorso che dia un senso a quei 30 CFU e che siano fatti bene, in questo caso si perde qualcosa ma almeno non si perde tutto, mentre dall’altra parte se c’è un riconoscimento indiscriminato io credo che lì la qualità vada assolutamente a picco.

Un’ultima domanda, è giusto che siano i genitori. In base al loro gradimento, a decidere sulla continuità dell’insegnamento sul sostegno?

Questo è un punto particolarmente importante perché io credo che sia stata la merce di scambio per fare in modo che le famiglie accettino i “corsetti” dimezzati da 30 CFU, quando da sempre si sono lamentati che i corsi da 60 CFU non funzionavano perché non davano tutte le competenze necessarie, perché in cambio viene dato questo piccolo poter nell’esercitare il proprio gradimento. In pratica se un insegnante piace alla famiglia, lo stima e lo vorrebbe ancora per il proprio figlio, i genitori possono fare la proposta per una continuità, ma poi è il Dirigente Scolastico che decide se accogliere o meno questa richiesta.

La famiglia può assumere un atteggiamento “minaccioso” perché minaccia di creare problemi e quindi esercita un potere più grande, ma altrimenti non è un grandissimo potere quello che viene concesso. Poi c’è un’altra questione che mi fa dire che non è proprio del tutto positiva questa cosa, anzi per me non è affatto positiva, è che le dinamiche della scuola devono essere della scuola, non può essere la famiglia dell’alunno che si mette in mezzo.

La famiglia deve sicuramente essere esigente sulla qualità dei risultati per il proprio figlio, perché i genitori mandano i propri figli a scuola affinché imparino un sacco di cose, perché stia bene con i compagni e perché sviluppi un senso di appartenenza, questa è l’inclusione. Come si organizza la scuola, se conferma i docenti dell’anno precedente, se ne cambia 1, 2 o 3, è una questione propria della scuola, della sua professionalità, la famiglia non deve entrare in queste dinamiche, perché altrimenti si sviluppa e si conferma l’idea che l’insegnante di sostegno è mio come famiglia, è del proprio figlio, non è per la classe e per l’inclusione. È come se fosse un assegno che mi viene intestato e se questo assegno mi va bene vuol dire che l’anno prossimo lo voglio ancora. È un esempio per dire che non ha alcun senso tutta questa procedura, si confonde ancora una volta il mezzo con il fine.

L’insegnante di sostegno è uno dei tanti mezzi per produrre inclusione per il proprio figlio, gli altri sono i compagni di classe, gli insegnanti curricolari e via dicendo, c’è tutto un complesso di istituzioni che devono diventare inclusivi affinché un figlio porti a casa effettivamente dei risultati, e su quei risultati si valuta il percorso scolastico, non è che valuto un insegnante o un altro, ma si valuta attraverso i risultati raggiunti dal proprio figlio. Poi come si organizza la scuola è una sua autonomia, se invece trasformo il mezzo, l’insegnante tal dei tali che è simpatico, carino eccetera, con il fine, allora mi diventa la conferma di quell’insegnante carino e simpatico come fine perché voglio lui.

Poi c’è un’altra questione legata ad alcune dinamiche che si possono instaurare che non sono particolarmente evolutive, nel senso che se un insegnante vuole essere riconfermato per il prossimo anno, perché è una sede che gli va bene, potrebbe cercare di “sedurre” il genitore per essere riconfermato, metterà in atto tutta una serie di cose che non sono finalizzate ad ottenere il massimo per l’alunno, perché può indulgere in alcuni atteggiamenti, potrebbe addirittura trasformare la realtà in modo che quel genitore veda benevolmente il proprio operato.

Ovviamente queste sono solo illazioni che non hanno alcun valore, ma è per far capire che si possono creare dei meccanismi collusivi di alleanza perversa, così come può avvenire il contrario, nel senso che il genitore può fare fatica ad accettare un insegnante perché è severo, perché chiede al proprio figlio ed anche a lui quale genitore delle cose scomode e a quel punto il genitore può esprimere un non gradimento.

Non credo che questo metodo sia positivo, altro è la continuità, che è un altro discorso, in alcuni casi è un’ottima cosa in altri casi non è necessaria e può non essere nemmeno utile, quello che deve essere garantita è la continuità, la coerenza di un sistema che se anche si cambiano la metà degli insegnanti, comunque un percorso inclusivo venga portato avanti. In molte scuole si cambiano gli insegnanti di sostegno ed anche quelli curricolari, ma è il sistema, collegialmente, il collettivo che deve garantire la continuità e non tanto il singolo insegnante, altrimenti, come ho già detto, torniamo dentro la logica della proprietà privata, siccome mi piace lo voglio ancora, non è proprio il massimo.

Inoltre si potrebbero creare anche dei conflitti perché il genitore può esprimere la propria preferenza per quell’insegnate, ma siccome in teoria quell’insegnate è rivolto anche alla classe, potrebbe accadere che agli altri genitori quell’insegnate non piaccia, allora chi è che esprime il gradimento? I genitori dell’alunno con disabilità o gli altri? È una cosa che non ha senso. Il gradimento lo puoi fare se vai a comprarti una camicia in un negozio o nell’altro e decidi quale ti è più gradevole, ma in un servizio pubblico non funziona così, è l’Ente che deve garantirti la qualità di quel servizio. Credo che questo sia un altro scivolamento di tutto quello che ci siamo detti.

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