Contratto: arriva l’aumento di 260 euro per i presidi

la Repubblica

E per i neoassunti è prevista la figura del tutor. Ma i sindacati replicano: “Risorse già utilizzate, non è un aumento effettivo”

 

L’aumento per i 6.500 dirigenti scolastici italiani arriva sotto l’ombrellone. E’ stato firmato il contratto collettivo nazionale dell’Area dirigenziale Istruzione e ricerca, per il triennio 2019-2021. Nello stipendio arriveranno fino a 260 euro lordi al mese in più che netti sono 195. Ma ci sono anche altre novità. E’ previsto il lavoro agile, un tutor esperto per i dirigenti neoassunti nei primi due anni, viene mantenuta la retribuzione di parte variabile per i dirigenti scolastici in servizio nelle scuole italiane all’estero ed eliminato l’automatismo del licenziamento in caso di recidiva alla sospensione. Viene raddoppiata dal 30 al 60 per cento la quota dei posti riservati alla mobilità interregionale e introdotta la clausola di salvaguardia della retribuzione in caso di assegnazione ad istituzione scolastica di fascia inferiore a seguito del dimensionamento.

Soddisfatti i sindacati che però non concordano sulla cifra degli aumenti: “Si tratta di 195 euro lordi effettivi al mese che i dirigenti avranno sullo stipendio. Aran inserisce nel computo anche le risorse che la finanziaria 2020 ha stanziato per consolidare il Fun dei dirigenti, in sofferenza a seguito della massiccia immissione in ruolo di circa 2000 dirigenti nel 2019. Tali risorse sono già state utilizzate dal 19/20 per la retribuzione di parte variabile e risultato dei dirigenti quindi non rappresentano aumenti effettivi in busta paga”. I sindacati chiedono adesso al governo “di mettere mano alla trattativa per il nuovo triennio 2022-2024”, sottolineano Flc Ggil e Cisl Scuola.

Ma è stata anche la giornata in cui il Consiglio dei Ministri, su proposta del ministro dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini, ha approvato il disegno di legge di riforma dei contratti della ricerca. Nello specifico, fa sapere il ministero, si prevedono forme di collaborazione da parte di studenti durante il corso di laurea o di laurea magistrale per un massimo di 200 ore l’anno. Gli studenti potranno fornire assistenza all’attività di ricerca in aggiunta alla collaborazione ai servizi universitari. Il compenso può arrivare a 3.500 euro all’anno. Si introducono poi due tipologie di borse di assistenza all’attività di ricerca: una junior, destinata ai laureati magistrali o a ciclo unico per iniziare percorsi di ricerca sotto la supervisione di un tutor; una senior per i dottori di ricerca che potranno svolgere attività di ricerca. In entrambi i casi la durata va da un minimo di un anno a un massimo di tre.

Arriva poi il contratto postdoc che potrà essere sottoscritto dal dottore di ricerca. In questo caso potranno essere svolte attività di ricerca, nonché di collaborazione alle attività di didattica e terza missione. La durata va da un minimo di un anno a un massimo di tre. Rimangono i contratti di ricerca, introdotti nel 2022, per i quali è in corso la contrattazione Aran-sindacati. Viene poi introdotta la figura del Professore aggiunto (Adjunct professor), che potrà svolgere nelle università specifiche attività di didattica, di ricerca e di terza missione. Il contratto potrà avere una durata minima di tre mesi fino ad una durata massima di tre anni.

“Si tratta di una ‘cassetta degli attrezzi’ a disposizione di Università, Epr e istituzioni Afam – spiega la ministra Bernini che apre al confronto – Un intervento con cui si intende superare il precariato storico che affligge da tempo il settore e iniettare nuova linfa con strumenti diversificati per attrarre e trattenere i migliori talenti nel circuito della ricerca e dell’innovazione scientifica”. Critico il senatore Francesco Verducci, della Commissione Cultura: “Questa riforma ha un solo nome, precariato e sfruttamento”. Sulla stessa scia Alfredo D’Attorre, responsabile Università nella segreteria nazionale del Pd: “La precarizzazione della ricerca è una scelta irresponsabile”.

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