Fruizione dei tre giorni di permesso per motivi personali e familiari

da sinergie di scuola

Cassazione

Abbiamo già dato notizia dell’ordinanza 13/05/2024, n. 12991, con cui la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione si è espressa in merito alla mancata concessione, da parte di un dirigente scolastico, di un permesso per motivi personali.

La Suprema Corte ha confermato la legittimità della decisione del dirigente scolastico di negare a un dipendente la fruizione del permesso.

L’articolo 15, comma 2, del CCNL 2006/2009, prevede infatti che  “il diritto a tre giorni di permesso retribuito riconosciuto al dipendente, a domanda, nell’anno scolastico, sia subordinato alla ricorrenza di motivi personali o familiari che il dipendente è tenuto a documentare anche mediante autocertificazione”. Per la Corte, il motivo deve essere inoltre “idoneo a giustificare l’indisponibilità a rendere la prestazione, il che comporta che quel motivo sia adeguatamente specificato e che il dirigente al quale è rimessa la concessione abbia il potere di valutarne l’opportunità sulla base di un giudizio di bilanciamento delle contrapposte esigenze, condizione nella specie non riscontrabile, non risultando dalla motivazione addotta a giustificazione della richiesta (dover accompagnare la moglie fuori Milano) specificata e documentata, anche sulla base di una mera autocertificazione, l’esigenza dell’assenza dal lavoro […]”.

La pronuncia della Cassazione ha provocato la reazione di Sindacati e Associazioni, che si sono espressi in vario modo. Riportiamo di seguito alcune dichiarazioni.

FLC CGIL

Al personale docente e ATA spettano 3 giorni di permessi retribuiti per motivi personali o familiari.
Questo è diritto è stato sancito fin dal 2007 con la stipula del CCNL 2006-2009 il cui art. 15 co. 2 afferma che “il dipendente ha diritto, a domanda, nell’anno scolastico, a tre giorni di permesso retribuito per motivi personali o familiari documentati anche mediante autocertificazione”.
Tale diritto è stato recentemente esteso anche al personale a tempo determinato con il CCNL 2019-2021 (art. 35 comma 12).

Per fruire di questi permessi è sufficiente fornire una motivazione, personale o familiare, che rappresenta il presupposto giustificativo del permesso e che può essere documentata anche mediante autocertificazione da parte dell’interessato.

L’autorizzazione di questi permessi non è soggetta ad alcuna valutazione o discrezionalità da parte del dirigente scolastico che non può entrare nel merito delle motivazioni addotte dal lavoratore.

[…]

Una recente ordinanza della Cassazione non fa altro che confermare quanto detto sopra. In essa, infatti, si rigetta il ricorso di un lavoratore sottolineando che il motivo della richiesta di permesso deve “essere adeguatamente specificato” e che il dirigente deve deciderne la concessione valutandone l’opportunità sulla base “di un giudizio di bilanciamento delle contrapposte esigenze”.

Evidentemente in quel contesto scolastico, in quella giornata, vi era una situazione di eccezionalità; altrimenti la decisione del dirigente scolastico si sarebbe configurata come negazione di un diritto.

Peraltro, quando si rigetta una richiesta, il dirigente scolastico deve mettere per iscritto le motivazioni del rigetto.

E sarebbe interessante esaminare anche tale piccolo particolare per trarne deduzioni di carattere generale.

CISL Scuola

Con riferimento all’ordinanza della Corte di Cassazione 12991 del 13 maggio 2024 stanno circolando interpretazioni che ne farebbero discendere una modifica di quanto, in materia di permessi per motivi personali e familiari, stabilisce il CCNL del comparto istruzione e ricerca.

Le cose non stanno così, come si può dedurre leggendo senza forzature di parte quanto scrive la Cassazione nella propria Ordinanza, nella quale risalta, come motivo della decisione, soprattutto l’eccessiva genericità di quanto autocertificato dal docente che richiedeva il permesso.

Al riguardo, è bene precisare che l’istituto dei permessi retribuiti per motivi personali (che il CCNL ha esteso anche al personale a tempo determinato con contratto annuale o al termine delle attività didattiche) è disciplinato da CCNL stesso, che lo definisce come un diritto del/la dipendente e ne stabilisce con precisione le modalità di fruizione, prevedendo in particolare che i motivi personali o familiari per il quali la richiesta è prodotta siano “documentati anche mediante autocertificazione”.

La sentenza in realtà non attribuisce al dirigente nuovi poteri rispetto a quelli di cui già dispone, ma ribadisce, ancora una volta, quali criteri debba soddisfare l’istituto dell’autocertificazione, escludendo che possa essere redatta in termini troppo vaghi. Nell’ambito di un principio di “reciproca buona fede”, il lavoratore attesta le proprie esigenze e, nei limiti previsti dal CCNL, il dirigente valuta “l’opportunità'” (riprendendo il termine usato dalla Suprema Corte) di riconoscere il diritto al permesso, non con riferimento alle esigenze documentate dal dipendente, ma ad altre eventuali ragioni ostative (quelle che la Corte definisce “opposte esigenze”, in alcun modo interpretabili come valutazione discrezionale delle motivazioni addotte), anch’esse da formalizzare debitamente.

Ciò che la sentenza ribadisce, pertanto, è in sostanza la necessità che il lavoratore, fatti salvi i diritti alla riservatezza, fornisca per la richiesta di permesso una specifica motivazione, che nel caso in questione appariva eccessivamente generica, tanto da far ritenere fondato – per quel preciso motivo e non per altro – il diniego opposto dal dirigente.

ANP

Quindi, una volta per tutte, la Suprema Corte ha statuito la ferrea necessità di motivare, adeguatamente e specificatamente, le richieste di permesso; in assenza di motivazione o se la motivazione non è adeguata a giustificare l’indisponibilità del lavoratore a rendere la prestazione, il permesso non va concesso. 

È importante sottolineare che il lavoratore è tenuto a fornire la motivazione perché solo così il dirigente è posto in grado di esercitare le sue funzioni che, nella fattispecie, consistono nel bilanciare l’interesse del richiedente con la contrapposta esigenza di regolarità del servizio nonché nel decidere se concedere o no il permesso. 

Non si tratta, in altri termini, di conculcare un diritto del dipendente ma di contemperarlo non già con astratte esigenze organizzative ma con l’effettività del diritto all’istruzione, costituzionalmente garantito.

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