Il professore di Abbiategrasso: «Io preso a calci e pugni da un alunno, mi ha rotto il naso. Penso di lasciare la scuola»
Il Corriere della sera
Parla il docente di Storia dell’arte Rocco Latrecchiana, 48 anni: «I ragazzi, soprattutto i minorenni, si sentono onnipotenti. Manca il rispetto minimo, ma la colpa è della società»
«La mancanza di rispetto, la violenza verbale e fisica da parte di alunni contro gli insegnanti, come è accaduto anche a me, sono ormai troppo frequenti nelle aule scolastiche. I ragazzi, soprattutto i minorenni, si sentono onnipotenti. Le lezioni di educazione civica dovrebbero diventare lezioni di prevenzione dei reati, di educazione alla legalità, cominciando dalle scuole primarie: i giovani devono sapere quali limiti non si possono superare».
Rocco Latrecchiana, 48 anni, laureato in architettura, dal 2017 insegna, con incarico annuale, in varie scuole del Legnanese. Negli anni ha trattato varie materie: matematica, progettazione e oggi storia dell’arte e disegno.
Il 15 ottobre scorso, è stato aggredito da uno dei suoi alunni, un sedicenne che gli ha rotto il naso con un calcio al volto. L’episodio è avvenuto all’istituto professionale Lombardini di Abbiategrasso, che fa capo all’Alessandrini, scuola già teatro, nel maggio 2023, di una gravissima aggressione ai danni di una docente, accoltellata da uno degli allievi.
Il professor Latrecchia parla nello studio del suo legale, l’avvocato Massimiliano Crespi, che, a sua volta, tiene lezioni di prevenzione al bullismo nelle scuole della zona.
Cosa è successo quella mattina?
«Era il mio primo giorno al Lombardini. Dovevo cominciare da una classe seconda, nell’ora di laboratorio di grafica. Quando è arrivata la classe, un alunno è rimasto fuori e la collega di sostegno è andata a chiamarlo. Nel frattempo un altro allievo ha acceso la musica sul telefonino. Gli ho chiesto di spegnere e lui mi ha offeso verbalmente, fingeva di spegnerla per poi riaccenderla. Mentre parlavo con lui, il ragazzo che era rimasto fuori si è messo alle mie spalle e ha cominciato a insultarmi: “Chi ca… sei tu per dirgli di spegnere?”. L’ho invitato più volte a sedersi, poi, dato che si rifiutava, gli ho intimato di seguirmi in vicepresidenza».
Quando è avvenuta l’aggressione?
«Mentre ci avviamo all’ufficio, lui continuava a insultare. Un collega mi ha detto: “Non lo affrontare così, non sai la sua storia pregressa”. Per allentare la tensione ho detto al giovane: “Non è successo niente, ora sistemiamo tutto”. E invece quando mi sono voltato mi ha fatto cadere e mi ha preso a calci, uno mi ha rotto il naso. Sono arrivati i carabinieri, l’ambulanza, il preside Michele Raffaeli».
È più tornato al Lombardini?
«Non ancora. Sto facendo accertamenti medici».
E tornerà?
«Non ho ancora deciso. Da mesi sto valutando di lasciare l’insegnamento e di dedicarmi solo all’architettura».
Per l’aggressione?
«Non solo. Mi è sempre più difficile sopportare l’arroganza, l’offesa verbale, il rifiuto del rispetto delle regole che sempre più spesso si vive in classe. Non incolpo la scuola, ma la società ,sempre più egoista e superficiale»
Cosa le ha detto il preside?
«Mi ha espresso la sua solidarietà e sta seguendo la vicenda con grande professionalità e delicatezza. Ho ricevuto una mail anche dai colleghi che avevo appena conosciuto»
Cosa è successo al ragazzo, è stato espulso?
«Non sono a conoscenza di decisioni in merito».(«Le indagini sono ancora in corso e non abbiamo ancora contezza della formulazione del capo di imputazione» precisa l’avvocato Crespi).
È stato contattato dalla famiglia del giovane?
«Mi hanno inviato una mail di scuse. L’ho apprezzato molto».
Cosa si augura per questo ragazzo?
«Che questa vicenda sia uno spartiacque e che sia seguito il meglio possibile. Dovrà rispondere di ciò che ha fatto, ma io sono una persona empatica, la sofferenza altrui non mi lascia indifferente. Sono volontario in Croce Rossa da 17 anni e tra i nostri sette princìpi c’è proprio l’umanità».
Lei insegna Storia dell’arte. Come educa i ragazzi alla bellezza?
«Amo portarli a conoscere i tesori architettonici del loro territorio e li invito a non fare foto col cellulare, foto che poi non guarderanno più, ma a usare gli occhi e a parlare coi compagni. Spesso non sanno nulla l’uno dell’altro, se non che sono stati taggati in una foto».
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