Il patriarcato esiste, anche nelle parole di Valditara

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L’unica cosa giusta che ha detto è che la violenza è un fatto culturale. E la sua eliminazione passa per l’educazione sentimentale e sessuale, per l’uguaglianza, per le pari opportunità, per l’azione su quei “residui di machismo”, su quel narcisismo patologico. Ma il suo ministero cosa ha fatto in due anni?

 

Ecco, io vorrei chiedere a Valditara, ministro dell’Istruzione e del Merito, quale fosse esattamente il merito del suo discorso di ieri durante un evento assai importante: la dimostrazione pratica e operativa di come si possa trarre forza dal dolore, fare del lutto privato una grande occasione collettiva di crescita, di consapevolezza, come abbiamo sempre visto con la famiglia Cecchettin.

Oggi io vorrei un’interpretazione autentica, una nota a margine, una spiegazione qualunque, perché, sinceramente, non arrivo a comprendere. Non comprendo perché evocare il patriarcato sia “un’operazione ideologica”, mentre mettere l’accento – contro ogni dato disponibile – sull’immigrazione illegale a proposito dell’incremento delle violenze sessuali e dei femminicidi invece non lo sia (effetto Albania? Ce lo hanno per contratto, di dare sempre la colpa ai migranti?).

Non comprendo come si possa seriamente pensare che citare Massimo Cacciari – quindi una fonte “di sinistra”, per zittirci tutte e tutti, noi ideologici impenitenti – sia sufficiente a liquidare il patriarcato come tema cruciale del nostro mondo (anzi, letteralmente il ministro ha parlato di “risolvere la questione femminile”. Cosa sarebbe, la “questione femminile”? È tipo una questione meridionale ma più grande? La violenza sulle donne e i femminicidi sono la “questione femminile”? Non è una questione sociale in cui le donne sono le vittime?). Con l’aggiunta che, ormai  ha detto il ministro – come “fenomeno giuridico” la famiglia patriarcale non esiste più, quindi di cosa parliamo quando parliamo di patriarcato?

Per esempio, parliamo di mansplaining, guarda un po’. Parliamo di squilibri di potere tra uomini e donne, della “storica asimmetria di potere fra uomini e donne” (una cosa che persino la ministra Roccella ha sottolineato, nella stessa circostanza). Parliamo di squilibri di salario, di ruolo, di riconoscimento. Parliamo di strutture economiche manifeste e di strutture culturali profonde. Parliamo di quel “machismo” che Valditara ha menzionato come “residuo” trascurabile, preferendo sottolineare la “grave immaturità narcisista del maschio, che non sa sopportare i no”. Ma guarda, un maschio che non sa sopportare la parità, la possibilità che una donna gli dica no o si rifiuti di essere controllata: che strano, non sono queste su cui si edifica il narcisismo “le braci del patriarcato” (come le ha chiamate Massimo Recalcati)?

Non comprendo lo spazio che il ministro ha dato “alla diffusione di pratiche che offendono la dignità delle donne”, a opera dei “nuovi venuti”: sappiamo perfettamente come in tante parti del mondo le donne siano marginalizzate e sottomesse da regimi e teocrazie infami, e siamo molto sensibili a questo (ahinoi, anche lì c’entra il patriarcato, dietro il paravento della religione: possiamo dirlo o sarà ideologia? E il ministro lo sa che a volte i profughi e i “nuovi venuti” fuggono proprio da quello?). Tutte abbiamo chiesto giustizia per Saman Abbas, sorella la cui morte ancora ci offende. Peccato che il massacratore di Giulia Cecchettin fosse immigrato dal Padovano, tutt’al più.

Poi, con doppio salto mortale, il ministro, dopo avere evocato i “nuovi venuti” (regolari? Irregolari? Non importa: sono “altro da noi”, portatori di cose brutte per definizione), dice che l’ “incremento dei fenomeni di violenza sessuale è legato anche a forme di marginalità e devianza in qualche modo discendenti da una immigrazione illegale”. Ignorando che la stragrande maggioranza di violenze avviene in famiglia e nelle relazioni, e ha come autori e protagonisti gli italiani. E lasciamo perdere l’altro salto mortale: l’immigrazione illegale provoca marginalità e devianza. Che strano, pensavamo che relegare le persone ai margini, privarle della possibilità di vita civile producesse devianza, di cui più facilmente sono preda gli ultimi degli ultimi (ricordatemi chi ha smantellato l’”accoglienza diffusa”, l’unica dal volto umano…). Bello, il rovesciamento logico (uno dei tanti): sono gli emarginati a produrre marginalità, non il mondo che hanno attorno a spingerli ai margini. Un po’ come pensano ancora in troppi – lo leggiamo ancora troppe volte in certi resoconti, in certi articoli, in certi interrogatori: non saranno le femmine, a causare i femminicidi?

Bello anche il momento edificante finale, roba da pubblicità del pandoro: proteggiamo i buoni, i deboli, i miti. Le donne saranno buone, deboli o miti, e quindi bisognose “per natura” di protezione (e se non è patriarcato questo, non so proprio cosa possa esserlo)?

E sì, l’unica cosa giusta che il ministro ha detto (statisticamente doveva pur accadere) è quella: la violenza è un fatto culturale. Esattamente. E la sua eliminazione passa per l’educazione sentimentale e sessuale, passa per l’uguaglianza, per le pari opportunità, per l’azione su quei “residui di machismo”, su quel narcisismo patologico. Il suo ministero cosa ha fatto, quindi, in questi due anni? Ah già, un progetto sperimentale, facoltativo ed extracurricolare. Non sia mai che lo prendano per ideologico.

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