Il questionario di Valditara sulle sue indicazioni non prevede stroncature

di Alex Corlazzoli, Il Fatto Quotidiano

“È chiaro o va fatto meglio?” Ancora proteste per le linee guida del ministero dell’Istruzione sui programmi. A essere contestata anche la consultazione lampo a cui possono rispondere solo le scuole (e non i singoli) e che non prevede giudizi negativi

 

“Consultazione farsa”. È questa l’accusa rivolta alla direttrice generale del ministero dell’Istruzione e del Merito, Antonella Tozza, a proposito della mail inviata alle scuole per raccogliere, attraverso un questionario a risposte chiuse, i pareri sulle nuove Indicazioni nazionali pubblicate l’11 marzo scorso.

A puntare il dito contro la modalità di rilevazione sono pedagogisti di fama nazionale come Cristiano Corsini e Ira Vannini a nome del direttivo del Centro interuniversitario Crespi per la ricerca educativa sulla professionalità dell’insegnante. Ma non solo. A schierarsi contro il ministro Giuseppe Valditara, dopo le proteste dei giorni scorsi, sono anche l’Associazione nazionale dei dirigenti scolastici, il Centro d’iniziativa democratica insegnanti di Legambiente, il settore “Scuola e formazione” del movimento di Cooperazione educativa e “Proteo” Fare Sapere e la Società italiana di didattica della storia che ha scritto un duro comunicato nei confronti del documento elaborato dalla Commissione presieduta da Loredana Perla per rivedere le Indicazioni del 2012.

A mandare su tutte le furie parte del mondo della Scuola è stata proprio la circolare di Tozza che cita: “La pubblicazione del documento è finalizzata ad avviare, prima dell’adozione, una fase di consultazione che la stessa Commissione sta effettuando in questi giorni mediante incontri con le associazioni professionali e disciplinari, con le associazioni dei genitori, con le rappresentanze degli studenti e con le organizzazioni sindacali della scuola. Per consentire anche alle istituzioni scolastiche statali e paritarie del primo ciclo di istruzione di partecipare alla consultazione, la Commissione ha preparato alcune domande su aspetti del documento ritenuti di particolare rilevanza”.

Il tutto in tempo record ovvero entro il 10 aprile. Una sorta di “sondaggio” che non può essere compilato dai singoli docenti (com’era accaduto, ad esempio, con la “Buona Scuola” all’epoca di Stefania Giannini) ma dall’istituzione chiamata a coinvolgere maestri e professori. Le domande sono di questo tipo: “L’impianto complessivo del testo: appare chiaro e leggibile; alcune sezioni andrebbero meglio strutturate; dovrebbe essere reso più sobrio ed essenziale; nessuna risposta”. Oppure: “Tra gli elementi in evidenza vi è la valutazione nella scuola del primo ciclo come atto di valorizzazione. Risposte: il paragrafo rende più chiaro l’obiettivo della valutazione nel primo ciclo; dovrebbe essere più esplicito nell’indicare i mezzi e gli strumenti per valutare le competenze attese; nessuna risposta”.

Una modalità contestata da Corsini, pedagogista dell’Università “Roma Tre” che sul suo profilo Facebook scrive: “L’indegno questionario che impedisce di esprimere pareri critici sulle nuove Indicazioni è solo l’ultimo esempio di come l’esecutivo stia cercando di limitare la libera espressione di scuole e docenti. Va detto che dinamiche del tutto simili si registrano in ambito accademico. Tuttavia, avremo modo di parlare in futuro degli attacchi alla libertà di ricerca e insegnamento in università dove non mancano affatto individui che si sono felicemente allineati alle direttive meloniane. Per ora concentriamoci sulla scuola: a ciascun giorno basta la sua pena”.

Ancora più critica l’analisi di Vannini: “Nessuna finalità valutativa emerge da una lettura attenta del questionario di consultazione, che proprio in quanto tale non sembra consentire ai rispondenti di esercitare pienamente il proprio giudizio critico, ossia un atto che – pur in modi differenti – dovrebbe e potrebbe invece avere ricadute rilevanti sull’oggetto valutato. Osservando ogni item e le sue alternative di risposta, emerge forse un’unica possibilità per chi deciderà di rispondere: quella di “uscire dal gioco”, ossia l’alternativa della “non risposta”, unitamente ai 250 caratteri previsti per eventuali “Suggerimenti e osservazioni”. Se si trattasse di una reale procedura valutativa, allora questo significherebbe coinvolgere pienamente le e gli insegnanti nel processo di valutazione, esplicitarne l’oggetto, chiarire cioè i costrutti teorici e ideologici su cui la Commissione desidera ascoltare le voci dei diretti interessati. Ancora: sarebbe stato necessario rendere trasparente la finalità della consultazione, immaginare un pool di quesiti esteso e rappresentativo delle principali questioni che emergono dalla bozza del documento”.

Nemmeno le convocazioni organizzate dalla Commissione in questi giorni piacciono: “Rispetto a questa nuova fase di ascolto le associazioni esprimono stupore per un’audizione molto frettolosa in cui viene richiesto di fornire “un breve contributo scritto di 8000 caratteri con rilievi puntuali” su un testo di 154 pagine, in sostituzione delle Indicazioni vigenti del 2012 che videro una gestazione partecipata e una consultazione molto più corale da parte del mondo della scuola”, dicono Mce, Proteo, Legambiente e Andis.

Tuttavia, quest’ultime entrano nel merito: “In generale, a una prima lettura ci sono gravi criticità riferibili all’abbandono del paradigma culturale della complessità e di un modello democratico, laico, critico di scuola in favore di un paradigma chiuso e dogmatico, che genera una visione etnocentrica, in un’ottica difensiva rispetto a un mondo globale e interconnesso. Da questa visione derivano un’idea di appartenenza alla comunità scolastica e civile che enfatizza l’occidentalismo e il concetto di identità nazionale con la riproposizione di un modello di storia identitario, trascurando lo sviluppo di uno spirito critico e la funzione delle fonti”.

Infine, il dissenso della Società italiana di didattica della storia che nei giorni scorsi ha pubblicato un comunicato: “Con questo documento, l’esecutivo intende cancellare dal curricolo la storia, intesa come ricostruzione scientifica del passato, e sostituirla con un racconto che la storiografia conosce come “biografia della nazione” e che annovera da tempo fra le tradizioni inventate. Questo testo non prescrive di studiare la storia italiana, presente già nelle Indicazioni vigenti, ma una sua versione mitologizzata. La Commissione ha rifiutato non solo aggiornamenti didattici e storiografici, ma anche il doveroso aggiornamento sui fatti. Il loro elenco mostra una visione stereotipata della stessa storia italiana, dove, a parte errori stupefacenti (come il Mediterraneo unificato da Alessandro Magno), si susseguono definizioni non scientifiche (“la comparsa dell’uomo”), argomenti desultori, come “la famiglia romana” (e perché no anche quella medievale, ottocentesca o attuale?), interpretazioni azzardate, come quella dei longobardi anticipatori del Risorgimento, dizioni stantie come “le Repubbliche marinare”, o limitative, come le rivoluzioni moderne considerate il crogiolo della libertà. Nelle premesse, infine, si dichiara che si studia storia per capire il presente, mal’elenco dei fatti termina con Mani Pulite, come se gli ultimi trent’anni non avessero nessun rapporto con l’oggi”.

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