Riforme scolastiche: perché sono fallite?

di Andrea Ceriani, La Tecnica della scuola

Ridare piena dignità alla grammatica, all’analisi logica, alla sintassi dell’italiano, alla lettura, alla memoria, al latino, alla storia,  all’epica, alla geografia e all’importanza dell’educazione, del rispetto, del dialogo pur nella diversità dei ruoli.

 

Pubblichiamo con piacere questa lettera di un nostro assiduo lettore che ripropone una tesi che non di rado viene utilizzata nel dibattito sui problemi del nostro sistema scolastico: le riforme che si sono succedute dagli anni 70 in avanti sono fallite. Dal “ragionamento” del lettore traspare anche l’idea che prima delle riforme, quando si studiava più grammatica e più analisi logica le cose andassero meglio.

Purtroppo i dati descrivono una situazione molto diversa: negli anni 50 e 60 l’analfabetismo dilagava; non per nulla ad un certo punto persino la RAI si inventò un programma (Non è mai troppo tardi) condotto dallo straordinario maestro Manzi che aveva proprio lo scopo di fornire ai meno giovani gli strumenti di base della lettura, della scrittura e del far di conto. E se prima del 1970 si era nell’età dell’oro per quale motivo vennero aperti i cosiddetti corsi delle “150 ore” per i lavoratori?

E possiamo andare avanti citando numeri che si possono trovare facilmente in rete, dalle percentuali ridicole di giovani laureati ma persino dei diplomati, senza dimenticare che ancora negli anni 60 centinaia di migliaia di ragazzi arrivavano a mala pena alla licenza media.
Forse è vero che le riforme non sono state decisive, ma è anche vero che la situazione di partenza negli anni ’50 era disastrosa anche se forse gli scolari delle elementari e delle medie studiavano (ma solo se riuscivano a frequentare la scuola) più grammatica e più analisi logica [r.p.]

Ormai è evidente e non si tratta di semplici e superficiali pensieri del ‘comune uomo della strada’.

Gli Istituti e i Centri di ricerca specializzati (e accreditati) nel settore dell’educazione lo hanno affermato (e continuano a farlo) più volte: le riforme scolastiche dagli anni ‘70 in poi, le continue innovazioni metodologiche e i cambiamenti (non sempre opportuni) di paradigmi formativi non sembrano aver avuto grande fortuna (meno ancora successo).

I miti scolastici del ‘sapere’, ‘sapere fare’ e ‘sapere essere’, sbandierati con enfasi propagandistica negli anni ‘90 (proprio come parole d’ordine) hanno partorito, alla luce di fatti, ben poca cosa e si sono rivelati, per lo più, slogan demagogici (se non politici). I risultati non brillanti di queste ‘concitate’ politiche scolastiche lo dimostrano, impietosamente, i dati ‘ufficiali’ che nessuno ormai (se non qualche inguaribile ostinato) nega (nemmeno ci prova). Così, è acclarato e inconfutabile, molti (troppi) discenti arrivano alle superiori (di secondo grado) privi delle abilità linguistiche di base: ascoltare, parlare, leggere e scrivere (potremmo aggiungere anche ‘fare di conto’).

Minime le conoscenze, debole la memoria, zoppicante il ragionamento. Imprecisa la lingua madre (ma tutti sanno l’inglese, almeno in teoria), ripetitivo (in alcuni casi assente) il pensiero (schiacciato su quanto propongono e ‘impongono’ i ‘social’), esigua la capacità critica, epidermica e incostante la riflessione autonoma, spesso quasi assente la capacità di elaborare un pensiero personale.

È l’immagine di una scuola disorientata, in grado di offrire solo relativismo e pressapochismo. E di questo decadimento se ne sono accorte anche le Università che più volte stigmatizzano l’impreparazione di base delle matricole (non tutte, per fortuna!).

Se la situazione del nostro sistema scolastico è (in gran parte) questa, se la scuola produce approssimazione e ignoranza (anche se è bene non generalizzare troppo), ben vengano, allora i tentativi del Ministero di invertire questa pericolosa e deleteria deriva formativa, iniziando proprio dalle tanto criticate (forse ultimamente un po’ meno) ‘Indicazioni Nazionali’ per le elementari e le medie elaborate da una scelta Commissione di esperti (peraltro declinabili in modo autonomo nei vari e diversi contesti sociali e scolastici).

Proviamo dunque a ridare piena dignità alla grammatica, all’analisi logica, alla sintassi dell’italiano (senza appiattirci troppo su lingue straniere – una lingua straniera), alla lettura, alla memoria, al latino, alla storia (partendo pure dall’Occidente e dai suoi imprescindibili valori), all’epica, alla geografia e ad altre materie negli ultimi anni dimenticate o ridimensionate (e non dimentichiamo l’importanza dell’educazione, del rispetto, del dialogo pur nella diversità dei ruoli). In questo modo, forse si arriverà a mettere i nostri ragazzi in grado non solo di sapere ma anche di saper ragionare o operare correttamente in autonomia e, al contempo, in armonia con gli altri.

Si saneranno, in questo modo, i mali della scuola? Non so, ma, considerando il ‘degrado’ culturale a cui siamo arrivati (senza generalizzare ovviamente), un tentativo orientato a recuperare metodi formativi del passato (coniugandoli intelligentemente con i nuovi e potenti strumenti comunicativi ed educativi di cui si può oggi usufruire) non è da escludere a priori per provare a migliorare il sistema e, comunque, se non si dovessero avere benefici, non penso si avrebbero danni significativi (non certo come quelli arrecati in precedenza). Ben vengano dunque le nuove ‘Indicazioni Nazionali’, non solo nelle scuole primarie e secondarie di primo grado, ma anche nelle superiori (una apposita Commissione, così dicono, è già al lavoro su questo).

Se poi i frutti dovessero essere pochi e ‘guasti’ (difficile comunque peggiorare la situazione attuale), vorrà dire che l’esperimento non è riuscito e sarà opportuno prendere altre strade. L’importante, però, è prendere e considerare, seppur non acriticamente, quanto suggerisce il Ministero dell’Istruzione senza pregiudizi o atteggiamenti fermamente oppositivi.

Invece si registrano non poche prese di posizione (politiche e demagogiche, pedagogiche e psicologiche) dure verso questi ‘suggerimenti educativi’ (spesso neanche letti con attenzione ma sentiti in maniera vaga e, forse, anche non corretta) e decise a rifiutare ogni serio confronto (un confronto senza pregiudizi). Si parla criticamente di un ritorno ad un oscuro ottocento dominato dall’arcaica didattica della trasmissione del sapere dall’alto (la solita e vuota critica alla lezione frontale) a scapito del dialogo e della libera di espressione (trasmettere elementi fondamentali, anche solo poche idee, per attivare un dialogo libero e proficuo che arrivi a risultati condivisi è possibile).

Ma questo atteggiamento di chiusura non giova proprio a nessuno.

Certo è che di fronte ad un innegabile degrado culturale (e civile) occorre intervenire nel sistema scolastico e cambiarlo. Un ‘ritorno all’ordine’ che tenga conto dei cambiamenti sociali avvenuti potrebbe risollevare la nave della scuola, indebolita dall’eccessivo buonismo (si chiama ‘inclusione’) e appesantita dall’acqua del permissivismo che incomincia a invaderla velocemente attraverso le evidenti falle venutesi a creare nel tempo? Non si può dire, ma qualcosa bisogna fare e non attendere, rassegnati, il naufragio (che non sarebbe poeticamente ‘dolce’).

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