Abilitazione dei docenti della secondaria: strada tutta in salita?
Pubblicata in Gazzetta Ufficiale venerdì 19 u.s., la legge 8 novembre 2021, n. 163 “Disposizioni in materia di titoli universitari abilitanti” era già stata oggetto nei giorni precedenti di intese di massima tra i partiti di maggioranza e i ministri dell’Università e Ricerca, Messa, e dell’Istruzione Bianchi. L’obiettivo degli accordi era di determinare uno sbocco positivo alle future lauree magistrali con valore abilitante per l’insegnamento nella scuola secondaria, nonché la possibilità di una integrazione di recupero dell’abilitazione anche per le vecchie lauree.
L’intesa tra i partiti e i due ministri per dare attuazione alla specifica delega prevista dalla legge 163 è stata salutata con speranza da parte di migliaia di docenti interessati, anche se vi è la consapevolezza che il cammino non sarà facile né semplice.
E, proprio alla vigilia della pubblicazione della legge, le prime difficoltà emergono in modo netto. Ne ha dato notizia Il Sole24ore, che ha riportato in proposito la raccomandazione (non favorevole) del Consiglio Universitario Nazionale (CUN).
Quanto prospettato dal mondo politico e dai due ministri interessati, di cui abbiamo detto sopra, prevederebbe in dettaglio 60 Crediti Formativi Universitari (CFU) dal contenuto pedagogico (di cui 24 di tirocinio); si tratta di una proposta che non piace al CUN.
Più precisamente – come riferisce il quotidiano milanese – il CUN ha chiesto “di collocare la formazione all’insegnamento nelle scuole secondarie dopo la selezione per l’accesso al ruolo, durante l’anno di ‘formazione e prova’ e in contemporanea con il tirocinio, come previsto dal PNRR”.
La formazione per l’abilitazione, insomma, dovrebbe avvenire dopo il conseguimento della laurea magistrale, in modo che le conoscenze e competenze conseguite possano costituire la base su cui costruire la didattica delle singole materie di insegnamento.
Nella raccomandazione inviata ai due ministri il presidente del CUN, Antonio Vicini, richiede, tra l’altro, di “definire contenuti diversi per la formazione dell’insegnamento rispettando le peculiari esigenze della didattica nelle scuole secondarie di primo e di secondo grado”.
Cosa farà ora la ministra Messa? Nonostante il parere avverso, sembra intenzionata ad andare avanti. Del resto è il momento di rendere più snello e qualificato l’accesso a una professione che avviene troppo spesso ad un’età troppo avanzata e dopo uno snervante percorso di precariato.