Alla scuola italiana la metà dei soldi pubblici rispetto al Pil che spende la Finlandia
Con appena il 3,5% di investimenti rispetto al Pil non avremo mai una scuola pubblica migliore di quella attuale: servono risorse aggiuntive stabili, i soldi del pnrr sono temporanei. Il concetto è stato espresso all’unisono il 10 maggio durante la diretta della Tecnica della Scuola, nel giorno dei 75 anni della storica testata giornalistica specializzata in informazione scolastica. Durante il dibattito – al quale hanno partecipato Antonello Giannelli, presidente nazionale Anp, Enrico Panini, già segretario generale della Flc-Cgil e assessore al lavoro del Comune di Napoli, e Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli – si è discusso anche della figura del docente-quadro e dei limiti delle politiche anti-dispersione.
“Per aumentare il livello di insegnamento e di competenze scolastiche occorre aumentare gli investimenti nella scuola rispetto al Pil, perché i soldi del Pnrr sono di natura temporanea, Inoltre, è tempo di introdurre la figura del docente-quadro”: lo ha chiesto oggi Antonello Giannelli, presidente nazionale Anp, durante una diretta della Tecnica della Scuola, nel giorno dei 75 anni della storica testata giornalistica specializzata in informazione scolastica. Commentando i risultati dell’iniziativa editoriale “Dillo al Ministro”, con circa 200 proposte migliorative del sistema scolastico prodotte da addetti ai lavori, il leader del primo sindacato dei presidi italiani ha ricordato che “la spesa annuale rispetto al prodotto interno lordo nel nostro Paese è ferma al 3,5%, contro una media Ue del 5% e soprattutto del 7-8% in Paesi come la Finlandia”.
Alessandro Giuliani, direttore della Tecnica della Scuola, ha ricordato che “invece le proiezioni dell’ultimo Documento di Economia e Finanza indicano invece una riduzione ulteriore della spesa pubblica a seguito della riduzione sensibile delle nascite e delle iscrizioni a scuola”.
“Invece – ha replicato Giannelli – aumentando la spesa pubblica e impiegando proprio i fondi derivanti dalla riduzione del tasso demografico, si potrebbe sicuramente elevare il livello di tutto il sistema d’Istruzione. Anche introducendo nuove figure professionali, ad iniziare dal vice-preside: tutte le pubbliche amministrazioni hanno i loro ‘quadri’, perché nella scuola il middle management non può essere nemmeno considerato?”.
L’esigenza di aumentare la spesa pubblica a favore della scuola ha trovato pieno consenso anche da parte degli altri ospiti della live organizzata dalla casa editrice catanese: “La scuola – ha spiegato Enrico Panini, già segretario generale della Flc-Cgil e assessore al lavoro del Comune di Napoli – ha estremo bisogno di risorse, ma non dobbiamo illuderci che possano arrivare dal Pnrr: i soldi, anche tanti, giunti attraverso l’Unione europea potremmo dire che fanno cinema, perché non combattono la dispersione scolastica. Alle scuole sono arrivate una caterva di risorse, ma con parametri sbagliati, poi rivisti, con differenti attribuzioni tra scuole centrali ed esterne. Servirebbe, piuttosto, che alcune scuole osservino una maggiore flessibilità oraria e una maggiore permanenza di docenti e presidi”.
Sul docente-quadro, però, Panini si è detto contrario: “I docenti hanno già abbastanza burocrazia da gestire e con ansia, dimenticando cosa è l’autonomia scolastica. Si fa tutto di corsa, adempimenti su adempimenti, quasi fosse una ‘vendetta’ del Ministero: in questo contesto, introdurre i quadri significherebbe approvare una funzione burocratico-amministrativa, che sicuramente allieverebbe il peso del lavoro dei presidi senza entrare nel tema di merito”.
Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli, ha osservato che “in Italia la durata media di un ministro dell’Istruzione supera di poco l’anno. Molti ministri preferiscono legare il proprio nome al fatto di aver fatto la riforma e non di vederne i risultati. Tenete conto che per vedere veramente i risultati di una riforma scolastica bisogna di fatto aspettare una generazione, dunque ne riparliamo fra vent’anni. Ma fra vent’anni – ha continuato Gavosto – le probabilità che un ministro sia ancora seduto sulla sedia ministeriale sono praticamente nulle. Dunque, non c’è proprio incentivo a capire cosa funziona. Dovremmo creare delle istituzioni indipendenti che abbiano a disposizioni dati e strumenti per valutare nel corso del tempo le riforme”, ha concluso il direttore.