Autonomia differenziata: quando la “Patria” rischia di frammentarsi
Avviata la discussione al Senato intorno al DDL n. 615 contenente “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle regioni a statuto ordinario ai sensi dell’art.116, terzo comma della Costituzione”, si attendono ora i risvolti politici e legislativi.
Tuttavia, se questo provvedimento passasse in via definitiva, e ci sono tutti i presupposti, le conseguenze per il nostro sistema di istruzione potrebbero essere iniqui, compresa la mission principale dell’istruzione, ovvero la perdita delle garanzie dei diritti di cittadinanza, della condivisione di valori storici e culturali degli alunni, insieme allo smarrimento del senso di appartenenza nella Nazione, determinanti per la tenuta della democrazia.
Per i sindacati, oltre a crollare l’edificio della appartenenza culturale, di cui la scuola è prima e determinante artefice, si sfalderebbe la condivisione di valori fondanti del Paese, mentre i basilari principi di unità del “popolo italiano”, come lo definisce la premier Giorgia Meloni, cadrebbero, mutando radicalmente il quadro, in peggio, della scuola italiana e quindi della nostra “Nazione”, come la definisce sempre la premier Meloni.
L’aspettativa del legislatore infatti appare quella di puntare alla costruzione di tante scuole quante sono le regioni, perché, da legislazione esclusiva e unitaria dello Stato, “regionalizzando”, le finalità che disciplinano la scuola, gli ordinamenti generali, le funzioni con l’organizzazione del sistema educativo, i rapporti di lavoro del personale, inquadrati all’interno di un contratto nazionale unico di lavoro, andrebbero tutti frazionati per regione e secondo gli interessi locali.
Ma questa proposta di legge di autonomia differenziata, a firma Calderoli, non si limita solo a questo.
Ogni regione, con proprio regolamento, potrebbe essere in grado di stravolgere la compattezza organica di tutto il personale, differenziandone sia il salario, sia la parte normativa.
In altre parole, le famose gabbie salariali, invocate pochi giorni fa persino dal ministro dell’istruzione, Giuseppe Valditara, avrebbero finalmente luogo e pertinenza nelle regioni più ricche, senza colpo ferire e senza creare raccapriccio di scioperi.
Ma ogni regione si farebbe pure una sua norma relativa alla mobilità territoriale, alla gestione dei concorsi per il reclutamento di docenti e dirigenti, mentre la stessa autonomia scolastica, come evidenziano i sindacati della scuola, potrebbe subire fughe e condizionamenti localistici. Che tradotto significa inoltre: ogni regione si recluta il personale che ritiene opportuno, mettendo regole “ad usum Delphini” e tagliole nei punti strategici, cari ai propri interessi.
Tuttavia, di fronte a tante penalizzazioni sul sistema nazionale di istruzione e soprattutto in riferimento alla frammentazione ulteriore che tale autonomia differenziata porterebbe con sé, colpisce il fatto che i partiti di destra-destra al Governo, che parlano di Patria e Nazione, di Popolo e di Fratellanze, non si oppongano a tanto ulteriore frazionamento dell’Italia.
Anzi, si dichiarano non solo pronti a votare la legge ma anche si presentano come suoi assertori e promotori, non facendo caso che il diritto all’apprendimento e all’istruzione con l’esercizio della cittadinanza italiana, sono diritti esclusivamente nazionali e patriottici.