Cassazione: il lavoratore in malattia può svolgere alcune attività

di Marco Barone, il Sussidiario

Se il lavoratore in malattia svolge attività che non pregiudicano lo stato di salute il licenziamento non sempre è legittimo.

 

La Cassazione più di una volta si è interessata di questioni riguardanti licenziamenti di lavoratori, pubblici o privati, che durante il periodo di malattia si dedicavano ad altre attività. Ma il licenziamento non sempre è legittimo.

La questione

Veniva contestato ad un dipendente benché assente dal lavoro per infortunio, che era risultato avere svolto attività lavorativa in un bar di proprietà dello stesso, utilizzando a tal fine, anche la mano infortunata sia per attività leggere come fumare, impiegare il telefono cellulare per attività di risposta alle chiamate e scrittura sullo stesso, salutare con la mano destra stringendo la mano dell’ interlocutore, mantenere documenti etc, sia per attività lavorative di altro tenore. E veniva pertanto licenziato.
La Corte distrettuale ha considerato tali azioni insignificanti, ai fini di pregiudicare o ritardare la guarigione ed il rientro in servizio, in quanto si trattava di cd. attività “lavorative” svolte a distanza di circa sette mesi dall’infortunio consistito nella distorsione di due dita della mano e a pochi giorni dalla fine del periodo di diagnosticata inabilità.

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Se il lavoratore in malattia svolge attività che non pregiudicano lo stato di salute non può essere licenziato

Va sottolineato il fondamentale principio affermato in sede di legittimità (per tutte, Cass. n. 5095/2011; Cass. n. 6498/2012) secondo cui la giusta causa di licenziamento, quale fatto “che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto”, è una nozione che la Legge – allo scopo di un adeguamento delle norme alla realtà da disciplinare, articolata e mutevole nel tempo – configura con una disposizione (ascrivibile alla tipologia delle cosiddette clausole generali) di limitato contenuto, delineante un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama. Nel caso in esame, pertanto, ritenute inammissibili tutte le doglianze riguardanti la ricostruzione e le modalità della vicenda in fatto, precisano i giudici, con specifico riferimento alla censura concernente la asserita violazione del parametro normativo di cui all’art. 2119 cod. civ. va condiviso l’assunto della Corte territoriale che, proprio sulla base delle risultanze istruttorie acquisite, ha ritenuto irrilevante, per la sua inconsistenza, la condotta posta in essere dal lavoratore in relazione all’addebito di avere pregiudicato e/o ritardato la guarigione ed il rientro in servizio: eventi che non erano stati peraltro dimostrati. Cass. civ., Sez. lavoro, Ord., (data ud. 26/06/2024) 04/09/2024, n. 23747.

Pur trattandosi di un contenzioso che interessa il settore privato, i principi espressi dalla Cassazione interessano anche la Pubblica Amministrazione.

 

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