Come funzionano le prove Invalsi, dietro le quinte

Dalla privacy all’uso dei dati, un’inchiesta di Wired cerca di fare luce sul trattamento delle informazioni, su come si identifica uno studente “fragile” e sulle piattaforme adoperate per i questionari

Il 6 maggio, sui banchi delle quinte elementari, arriverà la prova Invalsi di inglese. Il giorno dopo tocca a italiano in seconda, mentre il 9 scatta per entrambe il test di matematica. Obiettivo: valutare il livello di apprendimento di alcune materie fondamentali del ciclo di studi. Le prove Invalsi, acronimo dietro cui c’è l’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione, un ente controllato dal ministero dell’Istruzione, sono state introdotte nell’anno scolastico 2005-06, hanno assunto l’assetto attuale nel 2017 e sono state ripristinate dopo la sospensione durante il periodo della pandemia. I risultati alimentano un database che traccia l’andamento dell’apprendimento delle materie di base nelle scuole, ci restituiscono un’idea di quanto si impara in classe e sono il viatico per accedere alla maturità, per chi si trova all’ultimo anno delle superiori.

Dal generale all’individuale

Nato come un sistema per “fornire elementi utili al miglioramento del sistema scolastico così da raggiungere livelli di apprendimento adeguati alle esigenze degli studenti, dei loro genitori, della scuola nel suo complesso”, come ha scritto Santarelli, il test Invalsi è diventato nel tempo anche un indicatore sempre più legato all’andamento individuale, in particolare sulla scia delle riforme scolastiche legate al Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr).

Un decreto del 2 marzo scorso, che interviene proprio sui progetti del Pnrr, introduce l’inserimento dei risultati Invalsi nel curriculum dello studente, un documento digitale che contiene alcune informazioni relative alle attività svolte a scuola, quelle extrascolastiche e che va essere presentato alla commissione durante gli orali di maturità. Una scelta pesantemente criticata dalla Cgil, perché associa un test usato per trarre conclusioni a livello generale, l’Invalsi, all’andamento individuale dello studente.

Ma come funziona la gestione di questa grande mole di dati da parte di Invalsi? L’istituto, che ha raccolto l’eredità del Centro europeo dell’educazione, nato negli anni Settanta del Novecento, dal 2022 a oggi, dopo il ripristino delle prove in seguito alla pandemia, ha maneggiato 7,7 milioni di test, come l’istituto ha dichiarato in risposta a una richiesta di accesso agli atti di Wired. Obiettivo della nostra richiesta: fare chiarezza sui sistemi di trattamento e gestione dei dati, le misure per minimizzare i rischi e quelle per tutelare la privacy. Domande a cui ha risposto parzialmente la direttrice generale dell’istituto, Cinzia Santarelli.

Nei giorni successivi, oltre al sindacato, una serie di associazioni e di sigle dei lavoratori (Associazione Roars, Alas, Usb Scuola, Unicobas scuola, Cub sur scuola, Organizzazione studenti Osa, i Cobas di Torino, Sardegna, Terni e Tuscia, gli autoconvocati, il Partito di rifondazione comunista, Priorità alla scuola, associazione Cattive ragazze, La nostra scuola Agorà 33, Per la scuola della Repubblica, Associazione nazionale docenti, Redazione professione docenti e Centro studi per la scuola pubblica) hanno annunciato un reclamo al Garante della privacy perché vieti il trattamento dei dati degli studenti fragili da parte di Invalsi. È bene precisare che nel 2018 e nel 2019 l’Autorità per la protezione dei dati ha espresso parere favorevole sugli schemi di trattamento prodotti dall’ente.

Individuare i fragili

L’indicazione di uno studente come fragile, istituita nel 2022 per raggiungere gli obiettivi del Pnrr in materia di scuola e colmare i divari tra i territori, è proprio uno degli elementi su cui ha voluto fare chiarezza la richiesta di accesso agli atti di Wired. L’indicatore serve a individuare persone che hanno difficoltà di apprendimento, dovrebbe attivare percorsi dedicati di sostegno e dipende, spiega Invalsi, dai “risultati conseguiti contemporaneamente nelle tre materie delle prove”. Cioè italiano, matematica e inglese.

Una premessa: nell’anno scolastico 2017-18 Invalsi è passato da quiz su carta a quelli al computer. Una pratica internazionale, allineata al Programma di valutazione internazionale dell’allievo (Pisa) varata dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), un’ente per gli studi economici che riunisce 38 Stati (tra cui l’Italia). La prova Invalsi si basa su “una procedura, in parte automatizzata, che confronta la risposta fornita da ciascun/a allievo/a a ogni quesito con il repertorio delle possibili risposte corrette, attribuendo un punteggio pari a 1 se la risposta è corretta e pari a 0 se la risposta è errata“. Aggiungono da Invalsi: “I risultati sono espressi su una stessa scala che rimane invariata nel corso degli anni rispetto a una data e una materia” e si articolano in 5 livelli. Dove 3 è la media per passare il quiz.

Di conseguenza, si viene indicati come fragili se, in italiano o matematica,il quiz raggiunge “al massimo il livello 2”. Mentre per inglese, è fragile chi in lettura e ascolto raggiunga alla “III secondaria di I grado al massimo il pre-A12”, mentre all’”ultimo anno della scuola secondaria di secondo grado non abbia raggiunto il B1“. A quel punto avviene l’associazione tra l’indicatore di studente fragile e un codice identificativo dell’alunno, il Sidi (Sistema informativo dell’istruzione). Ma è chiaro che basta poi poco per convertire quel numero in un nome e un cognome.

E dunque, fissati i paletti, quanti sono stati gli studenti identificati come fragili? Invalsi dice di non poter rispondere, perché la definizione non ha “carattere univoco ma è “legata allo specifico bisogno di analisi e/o d’intervento”. E quindi a decidere chi è fragile alla fine è la scuola, in autonomia, che, secondo Invalsi, usa i dati in base alle attività che vuole realizzare. “Una scuola che vuole organizzare un corso di supporto agli apprendimenti scientifici utilizzerà una definizione di fragilità diversa rispetto a quella che userebbe se l’attività fosse per il supporto delle competenze ricettive in lingua inglese”, si legge nella risposta della direttrice.

Piattaforme e privacy

Con chi condivide i dati l’istituto, presieduto da Roberto Ricci, arrivato ai vertici dopo una carriera dentro Invalsi e come esperto di valutazioni dell’istruzione in organizzazioni internazionali? In primis con il ministero dell’Istruzione e il suo Sidi. Poi con la provincia autonoma di Bolzano, la regione Valle d’Aosta e le scuole slovene o bilingui del Friuli-Venezia Giulia, in merito agli studenti del territorio. Ciascun preside ottiene i dati degli allievi delle scuole che dirige. E infine, in forma aggregata o no, ma anonimizzata, possono essere resi disponibili su richiesta dell’interessato su Brestr, che è la piattaforma messa a punto dal Consorzio nazionale del supercalcolo, Cineca, per certificare con credenziali digitali come è stata ottenuta una competenza e come è stato verificato il suo conseguimento.

È il Cineca a ospitare la piattaforma informatica Areaprove, attraverso cui si svolgono i test. I backup vengono effettuati ogni giorno, conservati per un settimana e per ogni server vengono mantenute 30 versioni complete. Invalsi spiega che le comunicazioni sono crittografate e che i dati personali degli studenti e quelli sul loro stato di salute, che possono comportare la sospensione della prova (e vengono tradotti nello stato “allievo assente o non svolge la prova standard”), sono trattati e anonimizzati “su database relazionali differenti e indipendenti con una chiave univoca, che rende possibile il collegamento dei dati”. Nella richiesta di accesso agli atti l’istituto aggiunge che dopo 20 tentativi di accedere senza successo nell’arco di 5 minuti, il login viene inibito per impedire attacchi informatici di tipo brute force. Mentre i log di accesso degli utenti sono conservati fino a sei mesi.

I soldi

Per ragioni di protezione dei dati e sicurezza della piattaforma, Invalsi ha negato a Wired copia della valutazione di impatto sulla privacy, utile a mettere in luce i potenziali rischi emersi nel trattamento dei dati, così come i verbali dei test effettuati per verificare il corretto funzionamento dell’impianto.

L’istituto è anche una macchina complessa sul fronte degli appalti. Nel 2024 prevede di spendere 22,5 milioni, a fronte dei 20 di valore della produzione, per le sue attività. Invalsi dà lavoro a 116 persone, ma avrebbe bisogno di assumerne altre 17 per far fronte ai compiti che ha sulle spalle, specie tra profili di ricercatori e tecnologi. L’istituto, peraltro, al momento non ha i fondi per stabilizzare chi attende di convertire il contratto in un tempo determinato, ma non esclude di sanare qualche situazione, se nel corso dell’anno trovasse i soldi.

Di recente ha dovuto rinnovare l’accordo per implementare la piattaforma attraverso cui somministra i questionari dal 2022 al 2026.In lizza ci sono Telecom e la multinazionale lussemburghese Open assessment technologies. Ma sul sito non c’è scritto quanto abbiano offerto. Mentre circa 120mila euro arrivano da un bando delle fondazioni della Compagnia di San Paolo e di Cassa depositi e prestiti per applicare l’intelligenza artificiale nel campo dell’istruzione. Il progetto da quasi un milione, assegnato al Politecnicno di Torino e sostenuto anche da quello di Milano e da Invalsi, dovrà mostrare “come gli strumenti di analisi dell’apprendimento possano influenzare le attività condotte in classe” alle elementari e medie, restie ad adottare questi strumenti tecnologici, “per affrontare le principali sfide, come, per esempio, l’abbandono scolastico, la difficoltà di collaborazione tra gli studenti, lo sviluppo dell’argomentazione e della scrittura e lo sviluppo del pensiero computazionale”.

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