Genitori. Fuori dalla scuola?

 

Non solo i docenti sono spesso (e da molti anni) aspramente criticati da parte degli Intellettuali, in quanto ritenuti i maggiori responsabili (secondo il loro discutibile, parere) dei problemi in cui versa la scuola; adesso, negli ultimi tempi, gli strali dei ‘professoroni’ sono andati a colpire i genitori, non all’altezza (questa è l’accusa) di svolgere correttamente il loro necessario e imprescindibile ruolo.

Così, recentemente, nel rispondere ad una limpida, equilibrata e ineccepibile lettera di un collega, animato dalla giusta volontà di difendere il duro e usurante lavoro dei docenti in una scuola sempre più ‘aggrovigliata’, il notissimo filosofo Galimberti, nel corso dell’articolata, completa e ampia risposta, riconosceva il sacrificio e l’abnegazione di moltissimi insegnanti, costretti a lavorare e sudare in contingenze assai avverse e, nel contempo, non lesinava rimproveri ai genitori degli alunni. Anzi la loro inadeguatezza (continuava il filosofo) è tale che dovrebbero essere ‘lasciati fuori dalla scuola’.“I genitori sono interessati più alla promozione dei figli che alla formazione, diventano psicologi o sindacalisti e contestano ‘a priori’ le decisioni degli insegnanti presentando spesso appositi ricorsi davanti al T.A.R.”.
Come non collegare queste parole con la ‘robusta’ e chiara riflessione del sociologo Crepet sui genitori!
“I genitori di oggi sono un disastro totale, ormai i figli decidono tutto.
Basta genitori a scuola. Dovrebbero entrarci una volta all’anno”.

Le affermazioni delle due famose ‘Autorità’ nel campo educativo-sociologico, hanno trovato, almeno inizialmente, la mia piena approvazione. Certo, meno i genitori si aggirano per le scuole, meglio si lavora e più si riducono malintesi, conflitti, contrasti, disaccordi e contenziosi (spesso risolti soltanto davanti ad un giudice). Inoltre in un rapporto più diretto docente-studenti (ognuno nel suo ruolo e senza eccessive e continue presenze terze) si potrebbe creare un’atmosfera di lavoro più serena e proficua.
Sì, ridurre al massimo la presenza dei genitori a scuola forse renderebbe il processo formativo più facile e vantaggioso per tutti (‘in primis’ proprio per gli alunni). Questo è stato il mio primo pensiero. Ma se i pensieri che vengono in un secondo tempo di solito sono i più saggi, un’ulteriore riflessione sull’argomento mi ha condotto a conclusioni, in parte diverse. Del resto per ridurre o eliminare la presenza dei genitori a scuola bisognerebbe rivedere (o abolire) i decreti delegati degli anni ‘70, che hanno aperto le scuole alle famiglie (per una loro partecipazione reale e democratica) e hanno investito i genitori di un ruolo non certo minimo né esiguo nella vita e nella gestione della scuola (almeno queste erano le intenzione del Legislatore, anche se la loro realizzazione, nel tempo, si è dimostrata quasi fallimentare, in alcuni casi perfino nociva). Non ritengo, però, che queste ‘conquiste’ così democratiche del passato verranno cancellate. Forse aggiornate? Inoltre non si può dimenticare l’art. 30 (comma 1) della nostra Costituzione, che indica come dovere e diritto dei genitori educare i figli.
In sostanza riconosce loro il diritto di seguirne, direttamente, la crescita anche a scuola, non solo di educarli a casa.
Allora, a questo punto (non è per me motivo di grande gioia, lo ammetto), la presenza dei genitori a scuola, normata e ben inquadrata e definita da precise regole, appare doverosa e, potrei direi, indispensabile per una piena e integrale crescita dei ragazzi. Certo è faticoso e sfiancante, molte volte, riuscire a farsi comprendere, ma questo trova le sue motivazioni nella poca educazione di alcuni genitori, nella loro sbagliata ‘idea’ della scuola, nel non stimare e considerare, come dovrebbero, il ruolo e l’importanza del docente, nel pensare di avere solo diritti e nessun dovere, nel ritenere la promozione una pratica burocratica, nel non riconoscere le loro colpe genitoriali, nel viziare i loro figli e ritenerli sempre perfetti e vittime dei docenti e quindi, in caso di insufficienze, nell’attribuire la colpa solo agli insegnanti.

Non nascondiamocelo, non pochi genitori (colpa anche di un’ “atmosfera” sociale litigiosa e, in realtà, poco rispettosa verso la scuola e le sue colonne – docenti e Ata – quantunque si dica il contrario) hanno pregiudizi e idee errate sulla formazione (ammettiamo anche che i docenti, esseri umani, possono anche sbagliare). In questi casi, allora, tutto diventa più difficile, perché occorre, missione ardua, quasi impossibile, educare prima i genitori e poi i figli.
Nonostante tutte queste controindicazioni (e tutti i ‘pericoli’ possibili), occorre però aprire le porte ai genitori e guidarli (ferma restando la chiara e netta distinzione di ruoli e competenze) ad un dialogo reciprocamente rispettoso, sincero e costruttivo che abbia come fine primario e ultimo non la promozione, ma la vera maturazione e la reale e completa crescita dei ragazzi (fosse anche necessario ripetere un anno e cambiare percorso di studi).

Indispensabile quindi la presenza ‘seria’ dei genitori, sia a casa per aiutare, da ‘vicino’ o da ‘lontano’, i figli nello studio (sempre che riescano a staccarsi, anche per poco, dal frenetico e tentacolare lavoro), sia a scuola, per suggerire, discretamente, idee o innovazioni utili a migliorare, in un’ottica di comunità educante, l’ardua missione della scuola, senza farsi prendere da tentazioni opportunistiche e personali.
Ben vengano dunque madri e padri a scuola, con giudizio, però, mi raccomando, con giudizio……

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