Il Piano Scuola 4.0: disciplinamento digitale e fine della libertà di insegnamento?

di Giovanni Carosotti e Rossella Latempa, Roars

Proseguiamo nell’analisi del Piano Scuola 4.0, e dopo aver visto le linee di continuità con il passato della nuova “transizione digitale” prevista dal PNRR, entriamo nei dettagli della nuova progettazione, sottolineando gli aspetti inediti. La vera novità del nuovo Piano rispetto a tutti gli interventi precedenti risiede nelle condizioni a cui le scuole aderiscono, impegnando i fondi ricevuti con il PNRR: fondi non  non solo sono vincolati in termini di finalità e di azioni possibili, ma, soprattutto, in termini di modalità e di progettualità. Viene infatti richiesto agli istituti di pianificare già in fase preliminare quali “misure di accompagnamento” saranno necessarie per garantirne l’”utilizzo efficace”. Per cominciare, una formazione di tipo metodologico didattico, supposta indispensabile nei nuovi “ambienti di apprendimento” e nei “laboratori per le professioni del futuro”: “spazi disegnati come un continuum fra la scuola e il mondo del lavoro”. E ancora, monitoraggio continuo e valutazione quantitativa dell’impatto , con enfasi sul “miglioramento degli indicatori di performance rilevati dal Sistema Nazionale di Valutazione”. Il Piano scuola 4.0 sembra istituire l’equazione: innovazione degli spazi =formazione e innovazione delle metodologie didattiche = miglioramento dei risultati di apprendimento. Il destino della Scuola Futura sarà tutto ambienti digitali e test INVALSI?

II Parte

Come abbiamo sostenuto nella prima parte di quest’approfondimento, si tratta di un documento i cui contenuti non sono che una riproposizione dell’idea di scuola neoliberale concepita da quasi tre decenni, ma che fatica ad imporsi in modo definitivo e omnipervasivo o, come sarebbe più giusto dire, totalitario. Le ragioni di questo parziale fallimento sono diverse. Sicuramente una resistenza significativa da parte della classe docente e del mondo intellettuale dei diversi orizzonti disciplinari; resistenza che però, negli anni, pur persistendo è diventata sempre più debole, essendo  peggiorate ulteriormente le condizioni materiali di lavoro quotidiane, in un quadro di continua delegittimazione politica e marginalizzazione nei processi di scelta e deliberazione professionali.

Un altro motivo dipende dal fatto che l’imponente apparato teorico- ideologico messo in campo fatica a tradursi in pratiche intellettualmente e didatticamente efficaci; molte delle cosiddette “innovazioni” promosse si fondano su strategie che sostanzialmente destrutturano i metodi e i contenuti delle diverse discipline, frammentando, parcellizzando e svuotando di rilievo intellettuale gli obiettivi didattici; risultano  spesso declinate in modo improvvisato;  conducono  ad un mescolamento di diversi ordini di saperi, di esperienze e di discorsi; e spesso proprio per gli allievi più fragili si traducono in  un controllo  forte degli aspetti comportamentali (l’enfasi sulle soft skills o sui progetti di educazione civica) ma debole in termini di apprendimento.

Ecco che allora il PNRR, nato da una situazione emergenziale, fondato su vincoli, condizioni e finanziamenti  europei senza precedenti, accentua come mai prima d’ora la sua forza attuativa e impositiva sul piano metodologico didattico. Una forza che, come vedremo, manifesta evidenti inconciliabilità con il diritto alla libertà d’insegnamento e con la sovranità decisionale riconosciuta in ambito didattico agli organi collegiali.

Conviene preliminarmente, però, sgombrare il campo da un equivoco, senza precisare il quale la nostra analisi apparirebbe sicuramente tendenziosa. Il PNRR è soprattutto un provvedimento di spesa, il cui obiettivo è mettere a disposizione ingenti fondi europei necessari per realizzare innovazioni strategicamente importanti per il rilancio del paese. Ponendo tra parentesi un giudizio sullo spirito complessivo che lo caratterizza, il Piano Scuola  prevede finanziamenti alle scuole  veramente ingenti, dell’ordine delle centinaia di migliaia di Euro per ogni istituto. Ciò che è anomalo -ma nient’affatto accidentale- è l’invadenza nel campo strettamente didattico, finalizzata a condizionare le modalità d’insegnamento dei docenti secondo strategie uniformi e imposte dall’alto.

1. Azioni, tempi e scadenze del Piano Scuola 4.0 (la roadmap)

 Proviamo a ricostruire brevemente le tappe.

Nell’estate scorsa, tutte le scuole italiane   si sono viste destinare  finanziamenti per un totale di 1 miliardo e 720 milioni di euro, relativi all’ investimento  “Scuola 4.0: scuole innovative, cablaggio, nuovi ambienti di apprendimento e laboratori” del PNRR. Le azioni sono due: “Next generation Classrooms”, sia per scuole di primo che di secondo grado (1 miliardo e 296 milioni di euro per la trasformazione di almeno 100.000 aule in ambienti di apprendimento innovativi ) e “Next Generation Labs”, per le sole scuole di secondo grado (424 milioni e 800 mila euro per i laboratori delle professioni digitali del futuro).

Il decreto che specifica i criteri di riparto delle risorse dispone che riguardo alle next generation classrooms:

“ciascuna istituzione scolastica beneficiaria [..] dovrà trasformare almeno la metà delle classi in ambienti di apprendimento innovativi“.

E riguardo ai next generation labs:

“Ciascuna istituzione scolastica del secondo ciclo di istruzione beneficiaria delle risorse [..] dovrà realizzare almeno un laboratorio per le professioni digitali del futuro “

Entro il termine fissato del 28 Febbraio 2023, tramite la piattaforma ministeriale FUTURA PNRR, ogni istituto ha dovuto dunque caricare una proposta progettuale preliminare, sulla base delle Istruzioni Operative e dei successivi chiarimenti pubblicati dal ministero.

I collegi docenti si sono dunque trovati alle prese con delibere relative al PNRR più o meno affrettate -oltre che concomitanti con la delicata fase di chiusura del primo periodo didattico –associate ad ingenti quantità di fondi vincolati e sottoposti ad una precisa tabella di marcia

Sottoscrizione di un atto d’obbligo, adozione anche nella documentazione istituzionale di istituto legata ai procedimenti di valutazione[1] della cosiddetta “Strategia Scuola 4.0”, affidamenti e bandi per la realizzazione delle azioni, che dovranno avvenire entro l’estate del 2024, per poter partire dall’anno scolastico 24/25.

Entriamo nel dettaglio di alcuni aspetti tra i più significativi.

2. La progettazione

Il Piano fornisce indicazioni precise sulla modalità di progettazione e trasformazione sia delle aule che dei laboratori. È il dirigente scolastico, in collaborazione con l’animatore digitale (figura già introdotta dalla Buona scuola) e altri docenti, a costituire un “gruppo di progetto”, che disegnerà i “nuovi ambienti di apprendimento” e i “nuovi laboratori per le professioni del futuro”. Nel primo caso, sia per le scuole primarie che secondarie, non si tratta semplicemente di una trasformazione materiale degli spazi. Il Piano parla di “progettazione didattica, pianificazione e previsione delle misure di accompagnamento per l’utilizzo dei nuovi spazi didattici”.

Le nuove aule saranno connesse, in modalità cablata o wireless; fornite di dispositivi individuali o di gruppo (notebook, tablet), dovranno “consentire la fruizione di contenuti attraverso realtà virtuale o aumentata”, dovranno “promuovere la scrittura e la lettura mediante tecnologie digitali”, arricchire le discipline STEM. Anche i nuovi laboratori per le scuole secondarie dovranno essere orientati all’”automazione”, “intelligenza artificiale”, “cloud computing”, “stampa 3D/4D”, “creazione di servizi e prodotti digitali”, “e-commerce e blockchain”, etc.

Tutto passa attraverso la compilazione del format ministeriale: l’intervento, gli indicatori e target, il piano finanziario. Sappiamo bene che il PNRR è un programma di performance, con “traguardi qualitativi e quantitativi (milestone e target) prefissati a scadenze precise, che tutti i soggetti attuatori dovranno rispettare[2].

Ciascuna scuola avrà dunque un suo target di riferimento, imposto dall’alto (risulta precompilato) e che rappresenta il numero specifico di “classi da trasformare in ambienti di apprendimento innovativi”.  Anche le modalità di impiego dei fondi non sono libere: minimo il 60% dell’importo assegnato dovrà essere infatti destinato a “acquisto dotazioni digitali”. Il restante 40% è suddiviso tra arredi innovativi, piccoli interventi di carattere edilizio o spese tecnico-operative.

Da questo punto di vista, dunque, il Piano scuola 4.0 si presenta come la più grande occasione commerciale che il mercato delle tecnologie dell’educazione abbia mai potuto cogliere nella storia dell’istruzione pubblica italiana. Si apre un vero e proprio “supermercato digitale” in cui le scuole possono acquistare servizi, forniture, arredi, infrastrutture cloud.

3. Dichiarazioni: la fantozziana spunta dei si (obbligatori)

All’interno della piattaforma del PNRR, nella sezione dedicata al caricamento della proposta progettuale, è prevista una sezione dedicata alle “dichiarazioni obbligatorie” richieste per l’accesso al finanziamento.

Quello che sappiamo di questa sezione, da una guida pubblicata  dallo stesso Ministero, è che prevede delle finestre con la seguente indicazione:

“in questa sezione devono essere selezionate obbligatoriamente tutte le dichiarazioni dove è presente “Si” nella colonna “Obbligatorietà”, le altre, se presenti, sono facoltative”.

Ora, un’obbligatorietà, ossia una prescrizione inaggirabile, dovrebbe essere compresa all’interno di un testo normativo che, in quanto approvato, andrà recepito, applicato e verificato nella sua integralità dal soggetto destinatario del provvedimento. Ci domandiamo allora perché questa piattaforma preveda che chi la compila debba spuntare queste voci, esplicitando una volontarietà e un consenso rispetto a un’indicazione che non potrebbe evitare di seguire. In altre parole, si pretende un’esplicita manifestazione di approvazione verso decisioni che vedono la scuola come soggetto completamente subalterno, che – in quanto destinatario di fondi – non può far altro che (ringraziare e) adattarsi  al quadro all’interno del quale quei fondi sono stati concepiti: ossia la totale trasformazione delle sue attività – spazi, metodi, strumenti -, e dunque di se stessa. L’obbligo di sottoscrivere obbligatoriamente delle dichiarazioni, da spuntare anche con un sì, suona come un “fantozziano” ringraziamento all’ all’autorità che ci consente un simile progresso nel nostro esercizio professionale. Il PNRR non solo impone, ma pretende il nostro caloroso consenso.

4. l mito delle STEM

Perché il PNRR impone di trasformare proprio un certo numero (target) di aule, in aule innovative? Per quale motivo non si possono utilizzare i fondi per rinnovare, sul piano tecnologico, tutti gli spazi della scuola, mentre se ne privilegia solo una parte? Ciò solleva una serie di questioni: come si assegneranno i docenti alle diverse classi? quali alunni si iscriveranno alle sezioni che godranno degli spazi innovativi e quali no? come si comunicherà tale diversità nei diversi open day? Certo, si possono immaginare spazi cosiddetti “ibridi”, oppure aule che a turno verranno occupate da tutte le classi: ma in quali discipline? Si può allora immaginare una struttura orizzontale, per cui solo alcuni anni di corso approfitteranno di spazi innovativi rispetto ad altri, ma ciò porrebbe problemi di discontinuità metodologica nel susseguirsi degli studi francamente poco accettabili.

Probabilmente, però, dietro tutto ciò potrebbe esistere una logica. Ovvero prevedere l’uso di questi spazi quasi esclusivamente per le discipline STEM, le quali sarebbero decisamente favorite dal poter ricorrere a una strumentazione digitale particolarmente sofisticata, rispetto a un semplice collegamento in rete -già presente ormai in tutte le scuole- che sarebbe sufficiente per curricoli di altra natura.

Una simile decisione veicola, pur non esplicitandolo, una precisa idea di scuola, una gerarchizzazione dei saperi, la volontà di privilegiare una forma mentis dell’alunno ritenuta più in linea con le esigenze della società (leggasi del mercato), impedendo che sia lo studente, nell’incontro con i vari campi disciplinari, a orientare la propria intelligenza dove meglio avverte sia le proprie predisposizioni, sia il proprio interesse. Come ormai più volte abbiamo sottolineato, l’idea di una didattica concepita per valutare le competenze fa sì che, nonostante la radicale diversità delle diverse discipline, tutte debbano essere organizzate e strutturate trasversalmente – secondo lo schema delle unità di apprendimento – a conseguire un risultato sostanzialmente attitudinale  o comportamentale[3]. Le novità previste dalla Scuola 4.0 sembrano a questo punto sancire una gerarchia interna tra i saperi, con quelli umanistici evidentemente destinati a ruolo ancillare e accessorio (si pensi all’acronimo STEAM, con la A di Arte, inserita tra scienze tecnologia, ingegneria e matematica), oltre che la svalutazione di quegli stessi saperi dall’interno, in nome di un approccio puramente utilitaristico.

Si realizza ancora di più un’ulteriore subordinazione alle logiche del mondo del lavoro, in una torsione sempre più professionalizzante di qualsiasi indirizzo scolastico, che non viene più neanche nascosta:

“Tali spazi devono essere disegnati come un continuum fra la scuola e il mondo del lavoro, coinvolgendo, già nella fase di progettazione, studenti, famiglie, docenti, aziende, professionisti, e integrandosi con i Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento (PCTO). I Next Generation Labs possono rappresentare una grande opportunità per ampliare l’offerta formativa della scuola, adeguando e innovando i profili di uscita alle nuove professioni ad alto uso di tecnologia digitale.”

Ma perché tale provvedimento dovrebbe riconfigurare finalmente in modo definitivo la scuola italiana, laddove approcci precedenti avevano fallito?

5. Le condizionalità su metodi e didattica

Veniamo al punto centrale del Piano Scuola 4.0. E cioè l’impegno che le scuole si assumono in termini di metodologie e progettazione didattica.

La vera novità rispetto a tutti gli interventi precedenti è infatti proprio qui. I fondi ricevuti con il PNRR non solo sono vincolati in termini di finalità e di azioni possibili (nuovi laboratori professionalizzanti e ambienti digitali connessi). Il Piano scuola 4.0 richiede agli istituti di pianificare già in fase progettuale quali “misure di accompagnamento” saranno necessarie per garantirne l’”utilizzo efficace”.

“le misure di accompagnamento per l’utilizzo efficace degli spazi didattici trasformati devono essere pianificate dalla scuola già nella fase di progettazione dei nuovi ambienti e proseguire lungo tutta la fase di allestimento e realizzazione.”[4]

A questo va aggiunto che tali impegni preventivi prevedono obbligatoriamente corsi di formazione specifici,  i quali, una volta avviati, dovranno essere vagliati con attenzione dai docenti, soprattutto per la loro pretesa di rappresentare un’impostazione pedagogica ottimale.

“Sul portale per la formazione Scuola Futura sono già disponibili percorsi formativi per i docenti sulla progettazione, realizzazione, gestione e utilizzo degli ambienti di apprendimento innovativi e dei laboratori per le professioni digitali del futuro.”[5]

A noi sembra un passaggio davvero significativo: prima ancora che le potenzialità dei nuovi ambienti vengano verificate e senza alcuna necessità di pronunciamento del Collegio docenti in merito – organo sovrano in materia didattica – si stabilisce un nesso apparentemente tecnico tra spazi di apprendimento e metodologie didattiche, rispetto alle quali si prefigura necessità di formazione.

La piattaforma ministeriale prevede che ogni istituto acquisisca delibere collegiali di “adozione dei progetti del PNRR anche dopo la prima fase di accreditamento conclusasi nel febbraio scorso.  I collegi docenti sono interpellati semplicemente per un sio per un no: si accettano i fondi e le condizioni connesse, ma non c’è modo di intervenire nelle sedi istituzionali per modificare i processi.L’alternativa è non perseguire adeguatamente gli obiettivi imposti, con tutto ciò che questo comporterà in termini amministrativi (vedi più avanti) oppure perdere centinaia di migliaia di euro.

Il rischio che si palesa qui è di condizionare automaticamente l’insegnamento all’interno dei nuovi spazi di apprendimento allestiti dal Piano Scuola, sia in termini di modalità didattiche che, conseguentemente, anche di forma dei contenuti.

Eppure la libertà di insegnamento esiste ancora. Non solo garantita dal quadro costituzionale, insieme alla libertà di pensiero, ma anche da quello normativo, attualmente in vigore, di cui in diverse occasioni ci siamo occupati.

E la libertà di insegnamento, qualsiasi sia l’ambiente in cui si colloca, non è data se si fissano a priori metodi e strumenti,  sulla cui scelta ultima dovrebbe poter esprimersi individualmente e senza condizionamenti ogni singolo insegnante. Arredi e tecnologie innovative arricchiscono il quadro dei modelli didattici su cui fondare il proprio insegnamento, offrendo ulteriori possibilità di interazione e di relazione, ma non devono determinare preliminarmente la decisione didattica del docente.

Ci si può fare un’idea delle condizioni didattiche imposte leggendo le “caratteristiche” che i progetti dovranno avere

Si potrebbe immaginare che, nonostante il tono assertivo, si verificheranno difficoltà nell’attuazione che renderanno possibile ai docenti inserirsi in questo radicalismo metodologico con le loro convinzioni e la loro professionalità. D’altra parte, l’uniformità scambiata per promessa di equità  (kit di buone pratiche digitali, innovazioni standardizzate) vedrebbe come soggetti più esposti proprio gli studenti, che invece si dichiara di voler avvicinare e motivare. Gli studi e le ricerche su  le inside implicite in una digitalizzazione integrale sono ormai numerosi e autorevoli. Ovviamente per nulla tenute in conto nei documenti di Scuola Futura.

6. Monitoraggio e valutazione: commissariamento e INVALSI?

Proprio in vista di tali possibili difficoltà delle scuole, è bene prendere a riferimento i dispositivi di monitoraggio previsti dal PNRR. Abbiamo già sottolineato che il Piano, per come è concepito, è:

“un programma di performance, con traguardi qualitativi e quantitativi (milestone e target) prefissati a scadenze precise, che tutti i soggetti attuatori dovranno rispettare.”

Le scuole, in qualità di soggetti attuatori, saranno soggette dunque a controllo continuo

Il target è costituito dal numero di classi trasformate in ambienti di apprendimento innovativi. Entro la fine del 2025 il Ministero dell’istruzione dovrà fornire la dimostrazione sul raggiungimento del valore minimo di 100.000 ambienti trasformati alla Commissione europea per l’azione 1 – Next generation classroom, che per ciascuna scuola finanziata è stabilito in almeno la metà delle classi, (..). Per la seconda azione relativa ai Next generation labs, è necessario che ciascuna scuola del secondo ciclo attivi e rendiconti almeno 1 laboratorio per le professioni digitali del futuro.

(..)

La rendicontazione sul raggiungimento del target è soggetta a monitoraggio continuo e deve essere costantemente aggiornata dall’istituzione scolastica”.

Inoltre, anche per le linee di investimento del Piano Scuola 4.0, come già visto nel caso della missione riduzione divari il decreto sulla Governance del PNRR (77/2021), al Titolo II, denominato “Poteri sostitutivi, superamento del dissenso e procedure finanziare”, prevede nell’articolo 12 il possibile esercizio dei poteri sostitutivi  in caso di inadempienza, inerzia o ritardo da parte dei soggetti attuatori, scuole comprese, evidentemente.

Il testo sembra chiaro: qualsiasi inadempienza, ritardo, mancata adozione farà sì che si possa, dopo dovuti richiami e conferma dell’inerzia, insediare un potere sostitutivo, diretta espressione dell’esecutivo, che così garantirebbe  il raggiungimento degli obiettivi previsti dal PNRR.

Ma ci sono anche altri due aspetti che vale la pena sottolineare, riguardo all’attività di monitoraggio continuo, che sembra non ridursi semplicemente al dato quantitativo (quante aule hai trasformato, quante next generation classrooms hai attivato).

Nel Piano scuola 4.0, infatti, leggiamo [9]:

  1. “Il monitoraggio prevede l’acquisizione di dati quantitativi rispetto al raggiungimento del target e di dati qualitativi rispetto alle procedure seguite in attuazione del Piano “Scuola 4.0”, con particolare riferimento alla descrizione di ciascun ambiente progettato/realizzato”, all’attività di progettazione svolta, agli aspetti di innovazione delle metodologie didattiche utilizzate, alle misure di accompagnamento
  2. “La valutazione della misura sarà realizzata sia attraverso l’analisi dei dati di monitoraggio sia tramite la comparazione dei dati di output e di outcome rispetto al miglioramento degli indicatori di performance della scuola, rilevati dal Sistema nazionale di valutazione.”

Il primo punto stabilisce il vincolo didattico: le scuole sono obbligate a trasformare le aule in next generation classrooms e a modificare conseguentemente le metodologie didattiche. Il secondo, più sottile, fa riferimento ad una valutazione di  “indicatori di performance” della scuola rilevati dal Sistema nazionale di valutazione.

Ciò sembra far supporre l’istituzione della seguente equazione:

innovazione degli spazi = innovazione delle metodologie didattiche = miglioramento dei risultati di apprendimento

Sappiamo tutti quanto siano centrali, all’interno dell’architettura del Sistema Nazionale di Valutazione – oltre che nello stesso dibattito pubblico- i risultati misurati tramite test standardizzati INVALSI. Proprio con il PNRR, tra l’altro, questi stessi risultati acquisiscono addirittura un valore predittivo, vista la recente e contestata introduzione dell’indicatore di fragilità o dispersione implicita. Non torneremo sull’ infondatezza e sulla pericolosità di questo passaggio politico. È importante tuttavia chiedersi a quali “indicatori di performance” si riferisca il Piano Scuola 4.0, quando parla di comparazione dei “dati di outcome e di output”, per valutare l’impatto che i nuovi ambienti di apprendimento dovrebbero avere sui risultati di apprendimento degli studenti. Dubitiamo che si tratti delle valutazioni in itinere o delle valutazioni sommative degli insegnanti e dei consigli di classe.

L’apparato valutativo costruito attorno alle scuole e centrato sulla misurazione standardizzata e censuaria operata dall’INVALSI trascura infatti tutto ciò che non sia dato numerico prodotto all’esterno della relazione didattica, dunque per definizione “oggettivo”. La scuola da tempo non è più abilitata a parlare di sé, essendo l’istituto di valutazione l’unico ente accreditato a produrre informazioni e dati affidabili.

Se a questo aspetto aggiungiamo le recenti novità introdotte anche nel campo della formazione docenti e i nuovi ruoli che la  riforma di formazione e reclutamento assegna sempre all’istituto INVALSI, è facile presumere che il miglioramento che il Piano Scuola si aspetta di trovare, nelle rendicontazioni e nei monitoraggi delle scuole, non potrà che essere un “valore aggiunto” rilevabile a partire dall’unico standard ritenuto valido: quello definito dall’INVALSI.

 

7. Resistenze e dubbi di legittimità

Il progetto di trasformazione  “Scuola 4.0” solleva numerose domande.

Innanzitutto, non ci si può esimere dall’interrogarsi sulle presunzioni e sulle promesse della transizione digitale. Domande di carattere etico e politico, innanzitutto: cosa comporterà l’automazione didattica, quale tipo di relazione si agevolerà e quale invece si impedirà;  quali tipi di contenuti, di processi e di funzionamenti verranno diffusi e quali invece sempre più marginalizzati; quale riformulazione dei tempi e degli spazi dell’educazione si realizzeranno, quali nuove forme di controllo e di potere si instaureranno, quale modello di organizzazione del lavoro si favorirà; quali soggetti domineranno e quali saranno invece dominati, nel nuovo ambiente scolastico reinterpretato come ecosistema digitale dell’apprendimento.

Sono tutte domande che non possiamo lasciar svanire sullo sfondo, anche in cambio di centinaia di migliaia di euro da spendere. Questi interrogativi vanno proposti nelle sedi istituzionali, con tutta la fatica che ciò comporta.

E’ necessario far circolare informazioni, pareri differenti, che smontino sul piano ideologico la distopica costruzione che abbiamo descritto. Qualunque formatore si troverà ad affrontare gli insegnanti,  in qualsiasi corso di formazione obbligatoria, dovrà essere consapevole di trovarsi di fronte una platea capace di giudicare, sul piano dell’insufficienza scientifica nonché su quello dell’intenzionalità politica, quanto viene loro sottoposto.

Di certo non mancheranno le difficoltà attuative, dal punto di vista materiale, pratico e amministrativo ed è francamente poco credibile che il tutto si avvii con l’anno scolastico 2024-2025. Si tratta però di  aspetti di resistenza passiva che, come sappiamo dall’esperienza di questi ultimi anni, hanno contribuito certamente a mantenere la dignità della professione docente, a non trasformarsi in operatori o facilitatori.

Bisognerà poi porre la questione, a livello di contenzioso giuridico, relativa alla libertà d’insegnamento; sia per quanto riguarda i poteri che spettano al Collegio dei docenti,  e che non si vede perché debbano essere non presi in considerazione; sia prevedendo il ricorso alle opzioni di minoranza. Ma anche con un’azione di più ampio respiro di cui dovrebbero farsi carico le forze sindacali. Che avrebbero tutte le possibilità di condurre una battaglia per chiedere che il PNRR si limiti a mettere a disposizione delle risorse finanziarie, e a pretendere che siano gli insegnanti delle singole scuole a utilizzarle al meglio, in base ai rispettivi contesti e convincimenti.

Su questo aspetto merita di essere segnalato l’intervento del giurista Giuliano Scarselli, che sostiene il carattere anti costituzionale del testo, e invita a porvi attenzione. Gli aspetti problematici in questo senso concernono innanzitutto la finalità del provvedimento, che doveva limitarsi alla

“attuazione degli investimenti e il compimento di quelle attività strumentali e/o materiali relative a ciò, mentre il decreto in questione è andato evidentemente oltre, e ha provveduto a dettare la disciplina della nuova scuola, così eccedendo i limiti di un decreto ministeriale”.

Da questa impostazione indebita derivano le altre criticità che vanno a violare le stesse disposizioni costituzionali, eventualità non consentita neanche a una procedura che agisce secondo una logica emergenziale. In particolare, come da noi rilevato, a rischio risultano i diritti costituzionali della libertà d’insegnamento, nonché le finalità della scuola stessa, cioè “lo sviluppo della persona umana» e «la formazione culturale, libera, civile e responsabile degli allievi”. I rilievi di anti costituzionalità evidenziati da Scarselli devono essere ben presenti ai docenti e alle forze sindacali che li rappresentano; per avere consapevolezza che la resistenza che intendono attuare non si presenta affatto come indebita e per certi versi eversiva, ma in linea con il dettato costituzionale, di cui intende garantire l’integrità e l’applicazione.

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