Il sabato nessuno più a scuola? È solo un regalo a chi ha di più

 

Leggo, su Tecnica della scuola, un recente articolo che riporta l’opinione di Clemente Mastella, attuale sindaco di Benevento e politico di lungo corso, passato con nonchalance dalla prima alla seconda Repubblica. Leggo ciò che afferma Mastella e, improvvisamente, mi sento tutti i miei anni addosso, per due buoni motivi. Il primo è che mi ricordo bene quando Gianpaolo Pansa, non ancora revisionista e penna brillante del giornalismo politico, scriveva, con arguzia, di Mastella e delle sue “truppe mastellate”. Il gioco di parole oggi si dovrebbe spiegare a quelli che hanno meno della mia età, ma allora era chiaro il passaggio da “truppe cammellate” a “truppe mastellate”, espressione che ben indicava l’esercito dipeones organizzato dal “capo” per sostenere una certa linea politica all’interno di quel variegato partito che era la Democrazia cristiana.

A questo amarcord  fa seguito subito un altro pensiero, più serio e più triste: ma è mai possibile che quando si parla di scuola si debba così spesso parlare a vanvera? Prendiamo l’esempio che ci fornisce Mastella: egli è orgoglioso di sostenere da quarant’anni che a scuola, di sabato, non ci si deve andare. La sua linea, di fatto, è già vincente: pare che nel novanta per cento delle scuole italiane si pratichi la “settimana corta”. Evviva! Così, afferma Clemente Mastella, si dà respiro alle famiglie (non mi è chiaro in che senso, ma cito testualmente). Parlare a “vanvera” deriva spesso dal fatto che si ignora quasi tutto della situazione su cui si predica. Mi limito a indicare gli orari settimanali per il primo biennio di alcuni tipi di scuole superiori: liceo artistico 34 ore settimanali; liceo classico e liceo linguistico, 27; liceo musicale e coreutico, istruzione professionale 32. Quanto alla scuola primaria, l’orario va da 24, a 27-30 ore settimanali, mentre la secondaria di primo grado ha, mediamente, 29 ore settimanali che possono diventare 36 per le classi a tempo prolungato. La prima operazione semplice che dobbiamo fare è di dividere per cinque gli orari settimanali; persino le scuole con il numero più basso di ore settimanali superano le 5 ore; gli istituti professionali arrivano, mediamente, a 6,4 ore quotidiane e i licei artistici a 6,8.

I dati di cui sopra li ho presi da fonte ministeriale ma, data l’estrema variabilità dell’offerta formativa da indirizzo ad indirizzo e da istituto ad istituto, sono suscettibili di variazioni. In ogni caso, anche le scuole “fortunate”, in cui l’orario settimanale è di 27 ore si ritrovano a dover recuperare 2 ore di pomeriggio o ad avere due mattinate con sei ore di lezione. Tutto si può fare, ma non illudiamoci che la resa didattica delle ultime ore di lezione sia paragonabile a quella delle prime. Chi si è trovato ad insegnare una materia teorica a partire dalla quinta ora della mattinata capisce di cosa io stia parlando. Eppure – e qui ha ragione Mastella – la quasi totalità delle scuole ha scelto di avere il sabato libero, scelta che viene consolidata dal parere del Consiglio di Istituto, che, nel caso delle scuole superiori, è formato da dirigente, docenti, personale ATA, studenti, genitori.

Ora, però, chiediamoci in quali edifici scolastici costringiamo i nostri figli a permanere per più di cinque ore al giorno. La risposta completa ce la dà l’ultimo rapporto di Legambiente sullo stato dell’edilizia scolastica. In sintesi: le scuole mancano di spazi adeguati alla permanenza pomeridiana, peggio ancora “Le mense restano un servizio di qualità ma ancora non presente in tutte le aree del Paese. Il dato medio di 76,7% di edifici con mensa a livello nazionale, al Nord e al Centro sale rispettivamente al 92,2% e all’80,9%, mentre nel Sud e nelle Isole si ferma rispettivamente al 54,3% e al 41,2%”. Non parliamo di sicurezza degli edifici: nonostante tutte le promesse e i giuramenti di chi governa, soltanto il 50% delle scuole ha la certificazione richiesta.  Le strutture sportive ed i trasporti, inoltre, sono assai carenti: “solo il 19,7% delle scuole dispone di un servizio di mobilità collettiva come lo scuolabus; sui servizi per lo sport un impianto su quattro necessita di manutenzione urgente. Le palestre aperte oltre l’orario scolastico sono oltre il 70% nei capoluoghi di provincia del Centro-Nord, per ridursi al 30,3% nelle Isole al Sud e ridimensionarsi a poco più del 40% nelle città del Sud delle Isole”. Per Legambiente è una grave mancanza che “i LEP relativi all’istruzione non considerino tre servizi come trasporto scolastico, palestre e sostenibilità energetica”.

Tutte queste osservazioni – ed altre ancora – dovrebbero far ritenere i nostri edifici scolastici mediamente inadeguati ad una permanenza oltre la mattinata di lezione. Ma il sabato libero è un tal miraggio per tutti che ad esso si sacrificano volentieri persino le motivazioni di ordine didattico. Non più litigi tra i docenti per accaparrarsi il “sabato libero”, non più levatacce anche nel fine settimana per accompagnare i ragazzini a scuola, finalmente una mattinata libera anche per gli studenti – i vantaggi finiscono tutti qui e il resto è mistificazione. A quali famiglie pensa Mastella quando afferma che “il sabato libero dà respiro alle famiglie”? Nonostante la proposta della “settimana corta” sia stata accolta da alcune aziende, in Italia sono molti gli adulti che lavorano il sabato; se genitori di minori, non possono che vedere con occhio favorevole le scuole aperte sei giorni su sette.

Insomma, andare a scuola un giorno in meno si traduce con uno sforzo supplementare per gli studenti; questo almeno sino a quando le nostre scuole non saranno davvero luoghi accoglienti, dove ci si possa fermare a studiare, a fare attività sportiva, ad imparare a stare insieme anche di pomeriggio. A questo punto, il problema del sabato libero salterebbe poiché la scuola non avrebbe più quella sgradevole aura di “recinto di contenimento per minori” che ha tuttora ma sarebbe il luogo in cui bambini e ragazzi crescono e apprendono.

I bei “fine settimana in famiglia”, inoltre, esistono soprattutto nella pubblicità; è ancora la collocazione sociale a garantire bei week end[1].

La scuola dovrebbe essere un luogo in cui si appianano le differenze socio-economiche-culturali che derivano dalla famiglia di origine: invece, a causa di ragionamenti superficiali e a volte strumentali, si finisce per accrescere tali disparità. Infatti, il liceale che otterrà il sabato libero con l’incremento a sei ore di lezione in soli due giorni per settimana potrà passare sabato o domenica sulla neve o seguire i genitori in qualche viaggio breve, mentre lo studente del professionale, costretto a circa 7 ore di lezione tutti i giorni, di sabato se ne starà probabilmente a casa davanti ai videogiochi, mentre mamma e papà lavorano anche in quel giorno per sbarcare il lunario.

Stiamo estremizzando, ma non troppo. Il sabato libero è un regalo a chi ha di più e non incide poi troppo sulla qualità del tempo scolastico, mentre è un peggioramento della qualità didattica per chi ha di meno.

Ancorché l’argomento sia di scarsa portata, bisogna comprenderlo in tutte le sue implicazioni per dichiararsi favorevoli alla chiusura del sabato. Di certo si avvarranno di tale chiusura le casse comunali, provinciali, statali che, con una chiusura di due giorni su sette, risparmieranno sulla spesa energetica. Ancora una volta si considera la scuola non come un investimento prezioso ma come un centro di risparmio.


[1]  Basta guardare agli ultimi dati ISTAT sulle vacanze estive per comprendere che la disponibilità economica delle famiglie è modesta: i turisti che partono per vacanza tra luglio e settembre sono il 19% in meno del 2019 (18,4 milioni nel 2023, 22,7 milioni nel 2019). Figuriamoci quanti si possono permettere viaggetti nei week end.

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