La legge ammazza-vocazione: precariato a vita per i prof neolaureati, grazie a Valditara e Bernini
di Mario Pomini, Il Fatto Quotidiano
I nuovi laureati con la vocazione all’insegnamento non potranno certo amare il ministro Valditara, anzi sarà molto detestato. Le cose sembravano prendere finalmente una giusta piega, ma poi è arrivata la doccia fredda. Finalmente, con due anni di ritardo, sono stati emanati i decreti finali che consentono l’avvio dei corsi per la formazione degli insegnanti, titolo necessario per partecipare alconcorso finale. I giovani laureati avevano riposto molte speranze nella riforma Bianchi nella convinzione che il percorso per l’accesso all’insegnamento sarebbe diventato finalmente più agevole e certo. Invece è successo proprio il contrario e i nuovi laureati saranno intrappolati in un precariato a vita, grazie al duo Valditara-Bernini. Al posto di risolvere il problema del precariato, oggi un insegnante su quattro è precario per inerzia della politica, i due ministri l’hanno reso permanente e sistematico. Uno schiaffo che i giovani non si meritano ed è immaginabile che, quando ci si accorgerà dell’inganno, cominceranno le proteste, anche forti mi auguro.
Facciamo un passo indietro per capire come è avvenuto il disastro. Nel giugno 2022, nell’ambito delle riforme del Pnrr per la scuola, il ministro Bianchi aveva previsto l’avvio di un corso annuale di formazione obbligatorio per i nuovi docenti calibrato in questo modo: una parte di tirocinio, una parte dedicata alla didattica generale e una terza parte per la didattica disciplinare. Poi ci sarebbe stato il vero e proprio concorso. Finalmente si metteva fine ad una situazione insostenibile. Infatti ogni anno vanno in pensione circa 50.000 docenti e, senza concorso, si formano altrettanti precari perché la scuola è un servizio fondamentale. Il ministro Valditara, che si vanta di essere anche del merito, ha ritardato colpevolmente i necessari decreti attuativi. I primi sono apparsi ad agosto 2023, ma erano ancora incompleti. Finalmente nell’aprile 2024 sono stati emanati gli ultimi. Due anni per fare dei semplici decreti attuativi. Questa è la totale inefficienza ministeriale targata Valditara.
Al di là della tempistica, sono i contenuti a essere micidiali per i neolaureati aspiranti insegnanti. Il decreto di aprile 2024 ha introdotto due elementi molto selettivi, che di fatto li escludono.
Il primo è il numero chiuso. Il decreto indica per ogni Università e per classe di concorso il numero dei posti a bando. Un numero molto più basso di quello chiesto dalle università, senza alcuna chiara base di calcolo.
Non solo i posti sono pochissimi, per ragioni misteriose visto che chi finisce il corso deve poi superare il necessario concorso, ma sono i criteri di selezione che danno il colpo finale. Il 50% dei posti disponibili è riservato ai triennalisti, cioè a coloro che hanno svolto tre anni di supplenza nella materia. L’altro 50% è accessibile a tutti per titoli, dove però hanno un peso enorme quelli di servizio, cioè le supplenze.
In soldoni, i neolaureati non solo non possono accedere al concorso, ma nemmeno al corso che ne costituisce il requisito fondmentale. La strada segnata è quella di un lungo precariato, al contrario di quello che ci aveva chiesto l’Europa.
I ministri Valditara e Bernini probabilmente non si rendono conto del danno che hanno fatto alle giovani generazioni di aspiranti docenti. Intanto non ha senso prevedere un numero chiuso, non sui posti di docenza, ma sui posti del corso per la formazione dei docenti. La partecipazione al corso è una libera scelta individuale del laureato che va rispettata, soprattutto da parte della destra che parla a ogni piè sospinto di libertà.
Del tutto incomprensibile è poi la scelta di riservare, di fatto, i pochi posti disponibili solo ai supplenti storici. In questo modo il criterio della casualità si sostituisce a quello del merito, creando una plateale ingiustizia: il posto è di chi per qualche ragione, magari anagrafica, è arrivato prima. Si poteva procedere con il metodo tradizione, cioè assegnando un punteggio aggiuntivo all’esperienza. Invece, in questo caso chi non ha esperienza è proprio tagliato fuori. Si dice a volte che l’Italia non è un paese per giovani, in questo caso i laureati. Io aggiungerei anche che è fatto di politici che non sanno i guasti nefasti che fanno, per usare un eufemismo. Politici che a parole sbandierano il merito per ogni dove, ma nella pratica avvallano le più triste pratiche protezionistiche, ancora più detestabili perché puniscono i giovani.
Mi viene da rimpiangere la scuola di qualche decennio fa. Allora, neo laureato di 25 anni partecipai, pur con poca convinzione, al concorso per l’insegnamento delle materie giuridiche ed economiche (anno 1984). Un vero concorso con due prove scritte e un orale, per un totale di quasi dieci discipline.
Sembrava un’impresa impossibile. Tutti potevano partecipare, bastava la semplice laurea. Parteciparono circa 2.000 canditati per 48 posti, mi pare. Il concorso era su base regionale. A superare le tre prove fummo circa in 130. Non arrivai nel contingente previsto ma poi i posti in realtà erano molti di più. Cosa quasi incredibile, arrivai a 25 anni ad essere docente di ruolo senza un giorno di supplenza, anche se con qualche difficoltà all’inizio. E come me, molti altri laureati tra i 25 e i 30 anni hanno allora cominciato la loro avventura con entusiasmo nella scuola. Eravamo una bella e speranzosa combriccola.
Adesso questo non sarà più possibile e un giovane laureato dovrà attraversare anni di precariato frustrante per accumulare i punti necessari per il corso e il concorso, sempre che ne abbia voglia.
Questa cosiddetta riforma ucciderà ogni genuina vocazione per l’insegnamento. Ma forse è un bene per i migliori studenti che così non saranno vittime di certe infatuazioni giovanili e gireranno al largo da un posto dove si entrerà ormai solo per anzianità e probabilmente con molta poca motivazione. Un altro pezzetto della grigia scuola dei talenti di Valditara.
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