Le scuole italiane sono ancora piene di scatoloni di mascherine “mutanda” inutilizzate. E pericolose in caso di incendi

I dispositivi di protezione individuale chirurgici fatti avere ai docenti e agli studenti di tutta Italia ma spesso non indossati occupano ancora molto spazio all’interno degli istituti, ma i presidi non osano liberarsene per paura di avere problemi con la Corte dei Conti

Ne sono state distribuite 1.992.572.407 (dato della struttura commissariale al 31 marzo dello scorso anno) ma migliaia e migliaia sono rimaste imballate negli scatoloni accatastati nei corridoi, negli scantinati, nelle aule, negli spogliatoi persino nei bagni dei presidi. Sono le famose mascherine “mutanda”: i dispositivi di protezione individuale chirurgici fatti avere ai docenti e agli studenti di tutta Italia ma spesso non indossati perché o troppo larghi o troppo stretti o maleodoranti. Per mesi, nonostante i numerosi articoli di giornale e le denunce dei genitori, il Governo ha continuato a inviarle a 19.054 istituti con una media giornaliera per i bambini di 1.029.268 e per gli adulti di 3.683.049. Ora, a quasi un anno dal termine dello stato di emergenza, le scuole non sanno più cosa farsene. C’è chi sta provando a donarle al terzo settore ma nessuno più le vuole. C’è chi cerca aziende che le possano riciclare e chi non sa proprio da che parte voltarsi e teme per un eventuale incendio.

I primi a tirare per la giacchetta i dirigenti scolastici, sono i responsabili della sicurezza delle scuole che vorrebbero non vedere montagne di scatoloni accatastati. A ricevere ogni settimana chiamate dai plessi è Valentina Tiraboschi, mamma dei Castelli Romani che lo scorso anno aveva lanciato una raccolta di mascherine per Sant’Egidio affinché non venissero sprecate: “I presidi non sanno a chi rivolgersi e ci chiamano ancora ma da mesi abbiamo sospeso la raccolta perché nessuno più le usa. Siamo di fronte ad un’assurdità”. A raccontare a ilfattoquotidiano.it il caso sono proprio i capi d’istituto in trincea: “Le ho ovunque, in ogni angolo della scuola. Purtroppo non le vuole più nessuno e non sappiamo a chi donarle. Sono – spiega Stefania Collicelli, preside del Ristori a Forcella (Napoli) – un pericolo qualora scoppiasse un incendio. Non ho idea di che fine dovranno fare”. Gabriella Ricci dell’istituto Ferrajolo di Acerra le ha messe negli spogliatoi della palestra in uso a società esterne: “Piuttosto che sacrificare un’aula ho preferito riempire quello spazio anche se non è più utilizzabile. Noi ne abbiamo utilizzate un po’ per fare dei vestiti riciclati ma ne sono rimaste tante. Sono lì da un anno. Fosse per me le restituirei al mittente…”.

Chi è preoccupato per le spese di smaltimento è Mario Colletti, preside dell’istituto comprensivo Castiglione Uno: “Ne ho migliaia nel seminterrato della scuola. In questo momento non è un’emergenza ma dovremo pensare a come sbarazzarcene. Speriamo che i costi di questa operazione non ricadano sulla scuola. Sentirò l’amministrazione comunale”. Chi sembra aver trovato una soluzione è la dirigente Silvana Vitella del Bossi a Busto Arsizio: “Un genitore ha dei contatti con una ditta di smaltimento che se le prenderebbe gratuitamente”. Una situazione che ben conosce anche il numero uno dell’Associazione nazionale presidi, Antonello Giannelli: “Si tratta di materiale obsoleto non più utilizzabile che le scuole possono tranquillamente eliminare senza alcun rischio di ricorsi alla Corte dei Conti. Sarebbe utile se la Protezione civile se ne facesse carico magari destinandole a Paesi dove possono ancora servire”.

DA IL FATTO QUOTIDIANO

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