Ma lasciarli in pace?

 

Genitori che accompagnano i figli a occupare la scuola, e altri (è appena successo in un liceo romano) che partecipano ai sit-in contro l’occupazione. Oltre al senso del ridicolo, che evidentemente però si è smarrito da tempo, li accomuna questo dannato bisogno di rivivere l’adolescenza per interposto pargolo, ma soprattutto l’ansia di evitargli qualsiasi trauma.

Milioni di adulti (compresi loro) sono sopravvissuti alle occupazioni, sia che facessero parte delle minoranze motivate che le organizzavano, sia che si riconoscessero nelle maggioranze che si accodavano o le subivano. Per molti ragazzi si tratta della prima vera esperienza conflittuale in un luogo diverso dalla famiglia. Un rito di passaggio che, per essere tale, richiede la presenza dei professori, ma l’assenza dei genitori. Di tutti i genitori, occupanti e contro-occupanti.

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Del poco che ho capito finora, riguardo a questo mestiere complicatissimo, da un lato un genitore deve sempre esserci per i figli, ma dall’altro deve saper allentare il cordino invisibile con cui vorrebbe tenerli legati a sé. A scuola vanno per imparare, anche a trasgredire. E come potranno mai farlo con noi tra i piedi?

Si tratta di un gioco delle parti, ma se gli adulti interpretano lo stesso ruolo dei giovani, il gioco finisce e subentra il caos. Un’educazione senza contrapposizione è come una terra senza confini: un deserto. E nei deserti, di solito, ci si perde.

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