Mastrocola: Una scuola senza voti? Un giudizio esterno serve. Aboliremmo sorpresa e felicità

di Josephine Carinci, il Sussidiario

Una scuola senza voti, secondo Paola Mastrocola, non è possibile: “Abbiamo bisogno di un giudizio esterno per sapere chi siamo e come stiamo lavorando”

Scuola senza voti? Mastrocola: “Questi ci fanno da specchio”

Abolire i voti? No, grazie. Non ha dubbi Paola Mastrocola, scrittice che non è nuova a riflessioni sul sistema scolastico ed educativo italiano. L’ultimo istituto ad aver avanzato la proposta di non valutare gli studenti in termini numerici è stato il Liceo Scientifico Bottoni di Milano, che sperimenterà l’abolizione della pagella del primo quadrimestre. Infatti, secondo il consiglio scolastico, il voto crea ansia, paura, stress e impedisce uno studio sereno e disinteressato. Non è però d’accordo l’autrice, che sulle pagine de La Stampa commenta: “Eppure c’è qualcosa di buono nei voti, che vorrei provare a dire e che non c’entra con l’ansia. Semmai c’entra con le paure e le speranze, di cui è fatta la nostra vita. Non siamo macchine e nemmeno cieli sereni e senza nuvole. Siamo esseri umani e l’umano che è in noi si misura con la paura, la speranza, l’amore, il desiderio, la vergogna, la fierezza, l’invidia, l’ammirazione, la frustrazione”.

Traslando questo discorso alla scuola, “certo che temiamo di prendere un 4 e speriamo di prendere un 8, ma ben venga. I voti, che ci abbattano o ci confortino, contribuiscono alla conoscenza di sé. Per quanto strumenti imperfetti, parziali e approssimativi, ci danno un riscontro, ci fanno da specchio. Abbiamo bisogno di un giudizio esterno per sapere chi siamo e come stiamo lavorando, non in assoluto ma in quel dato momento, relativamente al compito che stiamo svolgendo”. Così, come un mezzofondista ha bisogno del cronometro per sapere se il suo tempo sia buono, lo studente ha bisogno del voto.

Mastrocola: “Senza la sofferenza di un 4…”

Una scuola senza voti non è educativa per i ragazzi. La riflessione di Paola Mastrocola su La Stampa prosegue così: “Dicono che non si deve studiare per i voti. Certo che no, dobbiamo studiare perché ci piace, ci interessa, ci è utile. Ma non mi sembra così brutto studiare anche per i voti: in certi casi vuol dire studiare per qualcuno. Quando ci capita di incontrare un insegnante che stimiamo, è possibile che vogliamo studiare anche per lui, perché ci apprezzi, ci ammiri”. Per questo lo studio è relazione con l’altro e restituzione reciproca. Quindi, è possibile anche studiare per desiderio dell’altrui approvazione. La pagella, secondo l’autrice, “ci mette in relazione col tempo, regalandoci il dono dell’attesa. La aspettiamo per mesi, e quando arriva è sempre una sorpresa. (…) Questo non è stress, è attesa, è speranza, è timore, è desiderio”. 

Per questo motivo, secondo la scrittrice, dietro i voti ci sono i sentimenti. “Ogni voto è una battaglia vinta o persa. Ma è solo una piccola, temporanea, parziale vittoria o sconfitta. Un voto non è un diamante: non è per sempre. Fotografa solo un momento, ci ritrae sorridenti o immusoniti. Dovremmo pensarci come una corrente, non come un punto fermo. Perennemente in moto, mai uguali”. Per questo, quando cambiamo un voto in meglio è la felicità “di farcela, di sovvertire i piani. Sorprenderci, meravigliare noi stessi”. In conclusione, “per questo vorrei che non abolissimo le pagelle: perché aboliremmo dalla vita dei nostri ragazzi la felicità, la sorpresa, la meraviglia. Senza la sofferenza di un 4 non proveremmo l’ebbrezza di un 8”.

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