Non dormono, non si concentrano, stanno poco in società: così lo smartphone ha reso depressi e ansiosi i nostri adolescenti

di Walter Veltroni,  Il Corriere della sera

 

Leggevo il libro di Jonathan Haidt La generazione ansiosa, colpito in primo luogo dall’esplicito sottotitolo: Come i social hanno rovinato i nostri figli quando, a causa di un incendio avvenuto in zona, improvvisamente è saltato ogni collegamento telefonico. Non il wifi, non l’operatore mobile. Nulla. Silenzio.

Con quel telefono, che un incendio ha momentaneamente reso un ninnolo superfluo, di solito si può: parlare, scrivere, acquistare, leggere, giocare, controllare il conto in banca, il peso, la cartella sanitaria, scattare fotografie, girare video, ascoltare musica, ordinare cibo, organizzare viaggi, definire percorsi stradali…

Tutto in un clic. Tutto tempo restituito alla propria vita. Cose che richiedevano ore, come andare in banca, sostituite da un gesto. Diciamoci la verità: una meraviglia.

In teoria, questo oggetto ci restituisce tempo di vita.
Ma come lo usiamo noi?
Sul cellulare.
Un paradosso.
Il problema è particolarmente acuto tra gli adolescenti.

Haidt, nel libro (Rizzoli, in arrivo il 10 settembre) che molto farà discutere, sostiene che, con l’arrivo dei social, si è progressivamente passati, tra i ragazzi, dalla «generazione del gioco a quella del telefono». Parla di una «Grande Riconfigurazione dell’infanzia» come «unica e sostanziale ragione alla base dell’ondata di malattie mentali tra gli adolescenti iniziata nei primi anni Dieci del Duemila». E aggiunge: «La prima generazione di americani che ha attraversato la pubertà con in mano lo smartphone (e internet) è diventata sempre più ansiosa, depressa, soggetta a episodi di autolesionismo e suicidari…».

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Secondo i dati pubblicati nel libro la depressione tra i ragazzi americani, in questo periodo, è cresciuta del 161% per i maschi e del 145% per le femmine, l’ansia è incrementata del 139% e il tasso di suicidi del 91% tra i maschi e del 167% tra le femmine. È chiaro, almeno per me, che altri fattori — storici, sociali, ambientali — hanno inciso nel profondo sul grado di fiducia nella vita e nel futuro di questa generazione.

Dice Haidt: «Il cervello umano contiene due sottosistemi che lo mettono in due modalità: la modalità di scoperta (per approcciare le opportunità) e la modalità di difesa (per difendersi dalle minacce). I giovani nati dopo il 1995 hanno maggiori probabilità di attenersi alla modalità di difesa, rispetto a quelli nati negli anni precedenti. Sono costantemente in allerta in previsione di pericoli, invece che in cerca di nuove esperienze. Soffrono di ansia».

Per Haidt ciò che sta accadendo ha a che fare con la rimozione del gioco, esperienza individuale e collettiva, dalla formazione infantile.

«Proprio come il sistema immunitario deve essere esposto ai germi e gli alberi devono essere esposti al vento, i bambini devono essere esposti a ostacoli, insuccessi, shock e inciampi per poter sviluppare forza e autosufficienza. L’iperprotezione interferisce con questo sviluppo e rende più probabile che questi giovani diventino adulti fragili e apprensivi. I bambini cercano il livello di rischio ed emozione per cui sono pronti, in modo da dominare le proprie paure e sviluppare competenze».

Nel libro si denuncia l’iperprotettività dei genitori che, resi ansiosi dalla società della paura, proiettano questi timori sui figli, privandoli della fiducia nel futuro e nel prossimo. «Questo atteggiamento è pericoloso perché rende più difficile per i bambini imparare a badare a sé stessi e a gestire rischi, conflitti e frustrazioni». Con il paradosso di bambini sottoposti a un ipercontrollo fisico e poi lasciati completamente liberi di vagare nei boschi della Rete.

La diagnosi di Haidt delle conseguenze della «rovina» di una intera generazione è durissima. Indica quattro fenomeni.

Il primo: la riduzione dei momenti di socializzazione. Le occasioni di incontro tra amici sarebbero, con l’avvento dello smartphone, passate da centoventidue minuti al giorno nel 2012 a sessantasette minuti al giorno nel 2019.

Il secondo: «Appena gli adolescenti sono passati dal telefono modello base allo smartphone, il loro sonno è peggiorato in quantità e qualità in tutto il mondo industrializzato».

Il terzo: la frammentazione dell’attenzione. «Gli smartphone sono kryptonite per l’attenzione. Molti adolescenti ricevono centinaia di notifiche al giorno, vale a dire che raramente hanno cinque o dieci minuti per pensare senza interruzioni».

Quarto, e più pericoloso, è la dipendenza: «Molti adolescenti hanno sviluppato dipendenze comportamentali molto simili a quelle causate dal gioco con le slot-machine, con profonde conseguenze per il loro benessere, lo sviluppo sociale e la famiglia». La dipendenza si manifesta — me lo hanno confermato personalmente degli psicologi infantili italiani — in ansia, irritabilità, insonnia.

Il libro si conclude con una serie di saggi consigli a insegnanti, governi, genitori.

Ma il problema è reale, di fondo e merita una discussione. Non bisogna accettare il catastrofismo dei nemici delle tecnologie, dei luddisti della evoluzione scientifica, ma cercare, secondo me, di distinguere le opportunità della rete dalle distorsioni dei social. Ci deve preoccupare l’affermarsi di una sollecitazione costante al pensiero puramente binario, alla rimozione della complessità e, ancor di più, dell’accoglienza del pensiero e dell’identità altrui.

Il libro di Haidt dovrebbe essere discusso in classe, e letto tra genitori e figli.

Spegnendo i cellulari, senza bisogno di un incendio.

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