Ologramma 4.0

di Martina Bastianello, Roars

Premessa sentimental-metodologica

Ricordate gli ologrammi in 2D inflazionati negli anni Ottanta? Ci troviamo davanti una figura che se osserviamo da una posizione frontale presenta determinate caratteristiche, ma se la osserviamo assumendo un punto di vista laterale, cambia. Ricordo alcuni santini cangianti (spuntavano dalle borsette delle nonne) con il santo di turno che si presentava a mani giunte se osservato frontalmente, benedicente se osservato lateralmente. Con il Piano Scuola 4.0 succede qualcosa di simile: guardato frontalmente può apparire come un’occasione imperdibile, facendo slittare la prospettiva la visione cambia. E la seconda immagine, quella che si produce grazie allo slittamento laterale, diffonde un bagliore inquietante. L’inquietudine si amplifica quando considero che in questi mesi – da quando cioè il testo del Piano Scuola 4.0 ha cominciato a circolare nelle scuole – non si è delineata alcuna reazione degna di nota tra i docenti.

Stupita dal silenzio e dalla mancata reazione del corpo docente, ho cercato comunque di confrontarmi con i colleghi poiché non riuscivo e non riesco a capacitarmi di questo atteggiamento: il Piano Scuola 4.0 è il testo che accompagna e contestualizza la gestione dei fondi PNRR destinati alle scuole, fondi che, è bene ricordarlo, non sono una vincita alla lotteria, ma un ulteriore aggravio del nostro debito. Chi ha letto il documento con un minimo di attenzione sa bene che quel testo esplicita non solo il modo in cui devono essere spesi quei fondi, ma veicola chiaramente una determinata visione della Scuola, visione che si può condividere o criticare, ma che nel corso di questi mesi non è mai stata discussa, visione rispetto alla quale non si è aperto alcun confronto.

Insomma, mi sembra che la situazione in cui ci troviamo ricordi la storiella dell’indiano che, rincasando a notte fonda, inciampa e si aggrappa alla prima cosa che gli capita sotto mano: al buio crede di essersi aggrappato ad una liana, accesa la sua lanterna scopre – sconcertato –  di aver afferrato la coda di un elefante. Ecco, il nostro elefante potrebbe proprio essere il Piano Scuola. Dobbiamo ancora accendere la luce, dobbiamo ancora inclinare l’ologramma… proviamoci!

  1. Presupposti da illuminare

  • Quali presupposti – non discussi –  determinano l’impianto del Piano Scuola 4.0?
  • Quali assunti – non indagati – impediscono una visione nitida della posta in gioco?

Provo ad enuclearli attraverso un elenco conciso e quasi brutale, una successione strutturata a partire dal punto di vista di chi quei presupposti, per l’appunto, li presuppone come validi per sé e per il lettore:

  •  la pretesa uniformità dei risultati della Ricerca pedagogica e didattica (uniformità citata sin dalla prima riga del testo e, a più riprese, nel seguito);
  •  l’equivalenza tra innovazione e progresso (l’innovazione produce, in quanto tale, progresso);
  •  la definizione univoca dell’innovazione didattica (nella direzione del digitale per tutti, sempre);
  •  la comune matrice metodologica adeguata a tutte le fasi evolutive (dal Nido all’Università);
  •  il rapporto contenuto/strumento (nel senso che la strumentazione non influenza in alcun modo la qualità e la natura stessa dei contenuti disciplinari);
  • la costruzione di un Linguaggio (di un mondo linguistico) capace, secondo gli Autori, di descrivere adeguatamente la realtà scolastica.

Questi presupposti trovano la loro matrice nel DigCompEdu (il documento che ispira gli Autori del Piano) e riflettono la loro ombra lunga sull’offerta formativa rivolta ai docenti dal portale Scuola Futura. La faccenda, quindi, non è riducibile alla gestione di un capitolo di spesa, ma è ben più ampia e profonda: riguarda il nostro mestiere, la nostra visione della Scuola (e della società), il profilo dei futuri adulti poiché ogni classe è specchio della società futura: “La classe è una società in miniatura che non vive in una bolla, bensí in rapporto con la società in generale. La preannuncia. La costruzione di una classe può essere vista come una prefigurazione, una promessa, un’immagine della società che vogliamo costruire (…). Dunque, in ogni caso, nel bene e nel male, è un contributo all’opera di edificazione sociale.” (G. Zagrebelsky, La lezione). Affiorano sullo schermo della mente le tante foto che ho osservato in questo periodo perlustrando i siti delle aziende specializzate in prodotti per la didattica digitale: si somigliano tutte. Classi luminose, isole di banchi coloratissime, volti tutti e sempre sorridenti, sguardi tutti e sempre rivolti verso uno schermo. L’Inquietudine monta, esige la maiuscola. Nessuno si guarda, nessuno fa qualcosa di diverso dal digitare, nessuno accenna un’espressione timidamente differente: tristezza, malinconia, noia, umore nero sono banditi dal luminoso MondoInnovativoInclusivoConnessoEtc. Se la classe – quella che vedo raffigurata e descritta nei siti citati, quelli che forniranno i dispositivi per gli ambienti innovativi, per intenderci –  prefigura la società che verrà, allora…

A seguire propongo una selezione (breve, ma spero sufficientemente provocatoria) di passaggi estrapolati dal Piano scuola 4.0: i passi scelti collimano con i presupposti sopra elencati e mirano a a rendere evidenti almeno alcuni nodi problematici sui quali, a mio avviso, sarebbe urgente interrogarsi.

Per rendere graficamente esplicito il mio intento provocatorio ho evidenziato in grassetto parole o espressioni che condensano un grumo problematico e ho affiancato (in blu) domande/osservazioni mie.

Buon divertimento. 

– Dall’Introduzione

La ricerca nazionale e internazionale ha dimostrato come il modello tradizionale di spazio di apprendimento non sia oggi più in linea con le esigenze didattiche e formative delle studentesse e degli studenti…p. 3 (La ricerca nazionale e internazionale ha dimostrato e proposto… riflettiamo sul soggetto: quale ricerca? Esistono dati chiari e univoci?)

 

“Il concetto di ambiente è connesso all’idea di ecosistema di apprendimento, formato dall’incrocio di luoghi, tempi, persone, attività didattiche, strumenti e risorse. Non sono sufficienti, dunque, solo lo spazio e la tecnologia per creare un ambiente innovativo, ma sono fondamentali la formazione, l’organizzazione del tempo e le metodologie didattiche.” p. 3 (Appare evidente, quindi, che l’innovazione degli ambienti è necessariamente collegata ad una formazione specifica dei docenti, alla trasformazione dei tempi e delle metodologie didattiche).

 

– Da Lo Stato della digitalizzazione della Scuola italiana

“La formazione alla didattica digitale dei docenti è uno dei pilastri del PNRR Istruzione e rappresenta una misura fondamentale per l’utilizzo efficace e completo degli ambienti di apprendimento innovativi realizzati nell’ambito Scuola 4.0. La linea di investimento «Didattica digitale integrata e formazione sulla transizione digitale del personale scolastico» è fortemente interconnessa con Scuola 4.0 in quanto mira a formare docenti e personale scolastico sull’utilizzo delle tecnologie digitali nei processi di apprendimento-insegnamento e delle metodologie didattiche innovative all’interno di spazi di apprendimento appositamente attrezzati. Sul portale per la formazione Scuola Futura sono già disponibili percorsi formativi per docenti sulla progettazione, realizzazione, gestione e utilizzo degli ambienti di apprendimento innovativi…” p. 10 (Invito a visionare il portale Scuola Futura)

 

“I percorsi formativi sono strutturati sulla base del quadro di riferimento europeo sulle competenze digitali dei docenti, il DigCompEdu.”  p. 10 (Invito alla lettura del documento in questione)

 

“Un forte impulso alla formazione dei docenti per l’innovazione didattica e digitale sarà prodotto, altresì, dalla riforma 2.2 con l’istituzione della Scuola di Alta Formazione l’adozione delle modalità di erogazione della formazione obbligatoria per dirigenti scolastici, docenti e personale tecnico-amministrativo.” p. 11 (Mi pare di capire che si parli di formazione obbligatoria orientata in una direzione ben precisa)

 

L’articolo 24-bis della legge 233/2021 ha previsto, infine, 3 distinte azioni per lo sviluppo delle competenze digitali nei prossimi anni scolastici: l’aggiornamento del Piano nazionale di formazione dei docenti delle scuole di ogni ordine e grado, che dovrà inserire, tra le priorità nazionali, l’approccio agli apprendimenti della programmazione informatica (coding) e della didattica digitale, in linea con l’investimento del PNRR «Nuove competenze e nuovi linguaggi», l’aggiornamento e l’integrazione della programmazione informatica e delle competenze digitali negli obiettivi specifici di apprendimento e dei traguardi di competenza delle Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione e delle Indicazioni nazionali e delle linee guida per le istituzioni scolastiche del secondo ciclo…” p. 15 (Mi pare di capire che si parli di aggiornamento del curricolo e dei profili in uscita degli studenti dall’infanzia alla Secondaria)

 

– Da Next Generation Classrooms

“Next Generation Classrooms… prevede la trasformazione di almeno 100.000 aule in ambienti innovativi di apprendimento. Le comunità scolastiche del primo e del secondo ciclo progetteranno e realizzeranno ambienti fisici e digitali di apprendimento (on-life), caratterizzati da innovazione degli spazi, degli arredi e delle attrezzature e da un nucleo portante di pedagogie innovative per il loro efficacie utilizzo, secondo i principi delineati dal quadro di riferimento nazionale e europeo. La trasformazione fisica e virtuale deveessere accompagnata dal cambiamento delle metodologie e delle tecniche di apprendimento e insegnamento.” p. 18 (Sottolineo il riferimento ai principi, che emergeranno più avanti e, di nuovo, il «deve»)

 

“è necessario avvalersi della ricerca per promuovere soluzioni pedagogiche innovative e contribuire alla definizione, all’attuazione e alla valutazione delle politiche, utilizzando i risultati delle pubblicazioni e degli studi pertinenti in materia di istruzione digitale realizzati dagli Stati membri e dalle organizzazioni internazionali, in particolare l’OCSE, l’UNESCO e il Consiglio d’Europa. L’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico)… ha definito, nel suo specifico manuale, l’ambiente di apprendimento innovativo…” p. 19 (Si trova la definizione completa, la riporto qui di seguito)

 

“L’OCSE ha definito, nel suo specifico manuale, l’ambiente di apprendimento innovativo quale un insieme organico che abbraccia l’esperienza di apprendimento organizzato per determinati gruppi di studenti intorno ad un singolo “nucleo pedagogico”, che va oltre una classe o un programma predefinito, include le attività e i risultati di apprendimento (non è solo un “luogo” dove si svolge l’apprendimento), gode di una leadership comune che assume decisioni di progettazione su come migliorare l’apprendimento per i suoi partecipanti.”

 

I PRINCIPI DELL’APPRENDIMENTO OCSE sono esplicitati nella tabella di p. 20

I 7 PRINCIPI DELL’APPRENDIMENTO OCSE

1 L’ambiente di apprendimento riconosce nei discenti i principali partecipanti, incoraggia il loro impegno attivo e sviluppa in loro la consapevolezza delle loro attività da discenti.

2 L’ambiente di apprendimento si fonda sulla natura sociale dell’apprendimento e incoraggia attivamente un apprendimento cooperativo propriamente organizzato.

3 I professionisti dell’apprendimento all’interno dell’ambiente di apprendimento sono perfettamente in sintonia sia con le motivazioni degli studenti che con il ruolo cruciale che le emozioni hanno nell’ottenimento dei risultati.

4 L’ambiente di apprendimento è estremamente sensibile alle differenze individuali tra gli studenti e le studentesse che lo compongono, ivi comprese le loro conoscenze pregresse.

5 L’ambiente di apprendimento elabora programmi che richiedono un impegno costante mettendo tutti in gioco senza provocare un sovraccarico eccessivo di lavoro.

6 L’ambiente di apprendimento opera avendo ben presenti le aspettative e implementa strategie di valutazione coerenti con tali aspettative; pone altresì una forte enfasi sul feedback formativo per supportare l’apprendimento.

7 L’ambiente di apprendimento promuove con convinzione la “connessione orizzontale” tra aree di conoscenza e materie, nonché con la comunità e il mondo più in generale.

“Il potenziale della tecnologia, che nell’era digitale contemporanea è ovunque, può essere un fattore ambientale chiave per l’efficacia degli apprendimenti e per il conseguimento delle competenze di vita e di cittadinanza.” p. 21 (Non è una domanda, è una affermazione. Ricordiamo ci che stiamo parlando di istruzione/formazione in età evolutiva…)

 

“L’istituzione scolastica potrà curare la trasformazione di tali aule sulla base del proprio curricolo, secondo una comune matrice metodologica che segue principi e orientamenti omogenei a livello nazionale, in coerenza con gli obiettivi e i modelli promossi dalle istituzioni e dalla ricerca europea e internazionale.” p. 23 (Abbiamo mai discusso di questa comune matrice metodologica? Della validità dei principi e dei modelli a cui si fa riferimento? I risultati della ricerca più recente sugli effetti del digitale negli apprendimenti sono omogenei? Cosa dicono? Come si stanno comportando – oggi – altri paesi? Come si comportano – oggi – quei paesi che almeno da 15 anni hanno introdotto innovazioni simili a quelle presentate nel Piano?)

 

Le Next Generation Classrooms favoriscono l’apprendimento attivo degli studenti con una pluralità di percorsi e approcci, l’apprendimento collaborativo, l’interazione sociale tra studenti e docenti, la motivazione ad apprendere e il benessere emotivo, il peer learning, il problem solving, la co-progettazione, l’inclusione e la personalizzazione della didattica, il prendersi cura dello spazio della propria classe. Contribuiscono a consolidare le abilità cognitive e metacognitive (pensiero critico, pensiero creativo, imparare a imparare e autoregolazione), le abilità sociali ed emotive (empatia, autoefficacia, responsabilità e collaborazione), le abilità pratiche e fisiche (uso di nuove informazioni e dispositivi di comunicazione).” p. 26 (Sottolineo che il Soggetto che promuove e favorisce tutti questi effetti è l’ambiente innovativo)

 

È necessario che la progettazione didattica, disciplinare e interdisciplinare, adotti il cambiamento progressivo del processo di insegnamento e declini la pluralità di pedagogie innovative (ad esempio apprendimento ibrido, pensiero computazionale, apprendimento esperienziale, debate, gamification, etc) lungo tutto il corso dell’anno, trasformando la classe in un ecosistema di interazione, condivisione, cooperazione…” p. 27

 

“Contestualmente saranno necessari la revisione e l’adattamento degli strumenti di programmazione della scuola, dal piano dell’offerta formativa al curricolo scolastico, al sistema di valutazione degli apprendimenti anche per favorire l’acquisizione delle competenze digitali che costituiscono un nucleo pedagogico trasversale alle discipline, in coerenza al DigCompEdu 2.2”

p. 28 (Mi sembra evidente che siamo di fronte ad una riforma complessiva della scuola, che sia il caso di parlarne?)

Mi fermo. Ho già tentato più volte, nel corso di questi mesi, di rispondere a tutti coloro che – a diverso titolo – mi hanno accusata di un generico passatismo o di una specifica chiusura rispetto alla didattica digitale e non vorrei dover spendere per l’ennesima volta tempo ed energie. Brevemente: nessun rifiuto del digitale e delle nuove tecnologie, quello che rifiuto –  con forza – è la cornice ideologica che presenta l’innovazione didattica come necessariamente vincolata (in virtù dei presupposti già esplicitati) alla massiccia e trasversale iniezione di dotazioni quasi esclusivamente digitali e, a cascata, alla trasformazione delle metodologie didattiche in funzione dell’utilizzo della nuova strumentazione. Il problema non è il Digitale, il problema nasce quando il Digitale viene posto come unico linguaggio innovativo, unico linguaggio efficace, unico linguaggio coinvolgente e adatto a tutte le età, a tutte le discipline, a tutte le situazioni. Passo e chiudo.

  1. Facciamo un gioco (linguistico)

“I problemi si risolvono non già producendo nuove esperienze, bensí assestando ciò che da tempo ci è noto. La filosofia è una battaglia contro l’incantamento del nostro intelletto per mezzo del nostro linguaggio.”
(L. Wittgenstein, Ricerche filosofiche)

Forse gli Autori del Piano Scuola hanno subito per primi un sortilegio, forse intendono stregare l’intero mondo della Scuola come ebbe a fare la strega Malefica che con la Bella addormentò l’intero suo Regno. Chissà. Sta di fatto che le parole magiche ci sono, le leggiamo, le sentiamo risuonare quotidianamente ed esse producono un effetto, un incanto che sembra illanguidire l’intelletto e portarci a non chiederci più: ma che cosa significa “innovazione”? Ha senso parlare di “erogazione della formazione”? La formazione si può erogare? Se descrivo lo spazio che occupo come “setting d’aula”, il mio mestiere cambierà? Se parlo di “risultati di apprendimento”, vorrà forse dire che presumo si possa quantificare quanto accade durante i miei cinquanta minuti di lezione? E ancora: che cosa significa “inclusione”? E perché mai mi capita di sentir continuamente parlare di “benessere”? Lavoro forse in una Spa senza saperlo? Che cosa vorrà dire che io – come “professionista dell’apprendimento” – devo essere perfettamente sintonizzato con le motivazioni ed emozioni dello studente?

Non reggo il gioco. Bandus! Time out! Arimortis!

Sviluppo solo un paio di  esempi e poi ciascuno potrà continuare da sé. Il primo esempio propone un’affermazione nota a tutti i docenti, il secondo esempio presenta un caso tratto dalla mia esperienza.

Se affermo che “la lezione frontale implica una concezione trasmissiva e passiva del sapere” sto giocando un gioco linguistico che produce effetti in chi parla e in chi ascolta. Chi parla è convinto di quanto afferma e chi ascolta (probabilmente) tenderà ad assumere e condividere l’assunto, soprattutto se si ritrova ad ascoltarlo ripetutamente.

Ma è sufficiente soffermarsi ad analizzare in modo approfondito ogni singola parola (e poi tornare a considerare l’intera frase) per spezzare l’incantesimo e rendersi conto che la faccenda è ben più complessa e che le domande spuntano come i funghi a settembre: ma che cos’è una lezione frontale? Che valore esprime la frontalità? Si può davvero trasmettere la conoscenza? Che cosa ci sarebbe di passivo nel parlare a qualcuno? E nell’ascolto c’è forse spazio per la passività? Non è forse uno spauracchio creato ad arte quello della Lezione frontale come causa di tutti i mali della scuola? Se rimaniamo dentro al recinto di chi gioca questo gioco linguistico ne subiamo le regole e gli esiti come se fossero davvero inevitabili o, ancor peggio, auspicabili.

Secondo e ultimo esempio: stavo correggendo una verifica dedicata in gran parte a Socrate quando, durante la lettura, mi imbatto in qualcosa che dapprima inceppa la mente e, subito dopo, scatena una serie di amare riflessioni. La studentessa scrive al posto di “maieutica”, chissà se consapevolmente o meno, “mediatica”. Confesso di aver controllato più volte, spulciato la brutta copia, riletto la parola almeno una decina di volte prima di accettare che sì, aveva proprio scritto “mediatica”.

Dopo aver letto integralmente l’Apologia di Socrate, dopo aver dedicato un ciclo di lezioni al Nostro, dopo aver portato in classe il piccolo busto in rame del Tafano ateniese che solitamente staziona alle mie spalle, nel mio studio la “mediatica” socratica mi colpisce come una stilettata al cuore, e il dispiacere non riguarda me e l’ammaliante sileno, no. Riguarda la mia studentessa, sia che abbia scritto consapevolmente “mediatica”, sia che l’espressione sia sfuggita come un lapsus rivelatore.

Non mi resta che tornare a Delfi e tentare la carta dell’antico sortilegio, sperando che la potenza delle parole buone ci possa salvare tutti dalla mediatica imperante…

 

Conosci te stesso

Condividi questa storia, scegli tu dove!