Quasi il 50% dei docenti è a rischio burnout

Orizzonte Scuola

Gaetano Cotena: metà dei docenti lavora anche se malato e il 20% rimane a scuola oltre gli obblighi (presenteismo).

 

Sono stressati gli insegnanti, è stressata buona parte del personale Ata, messo sotto pressione nelle segreterie da una crescente mole di incombenze, sono stressati i dirigenti scolastici. La scuola chiede aiuto. Come emerge dai dati nazionali che emergono dal Report ANP-LUMSA, 2024, (“Indagine sui livelli di stress e benessere dei dirigenti scolastici”, a cura di Ilaria Buonomo e Caterina Fiorilli), su di loro grava un crescente carico di responsabilità. Molti di loro sono sensibili al bisogno di una formazione relazionale ed emotiva degli insegnanti, che li aiuti a gestire lo stress, “ma mi dicono di trovarsi spesso di fronte alla scarsità di risorse economiche, impegnate per la maggior parte sulla formazione digitale e linguistica”. Così Gaetano Cotena, psicologo e psicoterapeuta, docente di scienze umane presso il Liceo G. Galilei di Ostiglia, in provincia di Mantova e autore di vari libri sulla scuola. L’ultimo s’intitola “Insegnare senza farsi male”, Il docente al centro. Proteggere il Sé del docente per sviluppare il Sé dell’alunno e prevenire burnout, Ed. Utet, Università e sarà presentato il 20 marzo alle ore 18 presso la Sala delle colonne del cortile di Palazzo Bonazzi ad Ostiglia (MN) e il 26 a Verona alle 17,30 presso la Biblioteca Farinati.

Cotena eroga da molti anni formazione emotiva e relazionale per i docenti delle scuole italiane di ogni ordine e grado. Dal suo libro più recente, forte di una grande quantità di testimonianze raccolte tra gli insegnanti durante i suoi corsi di formazione, emerge ancora una volta come la scuola possa essere spesso un luogo rischioso per la salute psicologica di chi vi lavora, una conclusione suffragata da recenti indagini sul rischio burnout dei docenti come quella condotta dall’Osservatorio sul Benessere dei Docenti dell’Università Milano Bicocca, 2024.
Dalla ricerca, citata dalla casa editrice Lattes, emerge che “quasi il 50 per cento degli insegnanti è a rischio burnout, mentre il 20 per cento soffre di presenteismo: si ostina cioè a rimanere sul posto di lavoro anche al di là dei propri obblighi o a prescindere dalle condizioni di salute. È una condotta lavorativa in cui la persona tende ad essere sempre attiva, presente e coinvolta nelle attività legate al proprio lavoro anche quando non dovrebbe, ad esempio perché in cattivo stato di salute”. Il 48% dei docenti, sempre secondo il report, “presenta livelli critici in almeno uno dei tre indicatori principali di burnout e il 4,6 per cento è a forte rischio, avendoli tutti e tre a un livello critico. I dati sul presenteismo indicano che solo un insegnante su 4 nonha mai lavorato quando per ragioni di salute avrebbe fatto meglio a rimanere a casa”.

Da parte sua Ministero dell’Istruzione e del Merito che ha investito 450 milioni di euro per formare i docenti sulla transizione digitale, che cosa ha intenzione di fare sul piano di una formazione capace di fornire un sostegno ai docenti e in generale ai lavoratori della scuola? Saranno stanziati dei quattrini?
Molti docenti si dicono convinti che un sostanziale aumento del loro stipendio, che avvicini la retribuzione a quella dei colleghi di altri Paesi evoluti potrebbe alleviare tanta parte delle sofferenze poiché tante volte certi disagi vissuti a sciola trovano ulteriore motivo di detonazione nelle frustrazioni di ordine economico, diventate sempre più pressanti a seguito delle recenti ondate inflazionistiche che hanno causato una decisiva e sentita caduta del reddito reale e quindi del già debole tenore di vita.

Professor Gaetano Cotena, quali sono le istanze più urgenti che raccoglie tra gli insegnanti, durante i suoi corsi di formazione?

“Incontro annualmente molti docenti durante i corsi di formazione, e nelle scuole di tutto il territorio nazionale ritrovo due cose ricorrenti: la loro professionalità e la loro fatica nel nuovo tempo della scuola.
Le problematiche che i docenti riportano con ansia e preoccupazione, su cui chiedono supervisione e formazione, riguardano la gestione della complessità emotiva in classe, la necessità di gestire la conflittualità con un potere istituzionale ormai svuotato dai ricorsi al Tar e dalla invasione ansiosa e talvolta aggressiva del genitore, la difficoltà di rispondere alla richiesta di aiuto dei giovani mantenendo limiti e confini protettivi per sé stessi e per gli alunni.
A questo si aggiunge la crescente burocratizzazione della professione: i docenti organizzano le gite, coordinano le classi, compilano documenti e sono sempre più impegnati in attività amministrative e segretariali in cui il docente non viene utilizzato per quello che è il cuore della sua attività: educare e stare in classe con gli alunni”.

La scuola è un luogo pericoloso per la salute psicologica degli insegnanti, almeno stando a quanto si legge nel suo ultimo libro “Il docente al centro”. Troppe richieste o c’è dell’altro?

“La salute psicologica è a rischio dove c’è la percezione di non avere strumenti adeguati e risorse per gestire le richieste dell’esterno. Ai docenti oggi viene chiesto non più solo di trasmettere conoscenze, ma di coordinare classi, di gestire i genitori ansiosi o aggressivi, di insegnare educazione civica, di educare all’autocontrollo e alla gestione dell’emotività, di orientare e sviluppare il degli alunni e delle alunne”.

Sono richieste eccessive?

“Sono richieste grandissime, che richiedono l’acquisizione di strumenti emotivi e relazionali necessari per prevenire il burnout, per non farsi invadere, per limitare studenti e famiglie nell’epoca dei social e delle e-mail, ma anche per gestire la propria emotività e rappresentare un concreto riferimento per lo sviluppo del Sé dell’alunno.
Occorrere invece rimettere al centro il ruolo del docente non solo restituendogli potere istituzionale ma iniziando da una concreta formazione emotiva e relazionale che consenta ai docenti di prevenire il burnout e di avere risorse emotive per occuparsi delle sfide che la scuola di oggi impone di accettare. Non mi riferisco alla formazione spesso erogata da docenti universitari che non sono mai entrati in una classe. Ma ad una formazione concreta, che risponda a domande e bisogni che vanno oltre le teorie.”

Torniamo alle domande che raccoglie durante i suoi corsi. Sono domande che trovano risposta?

“Sono le domande a cui, mi dicono i docenti, l’attuale sistema di formazione non risponde: che cosa devo fare quando entro in una classe dove il giorno prima si è suicidato uno studente? Oppure: Come stare – non curare – con chi soffre di attacchi di panico, disturbi alimentari, autolesionismo? E ancora: Come ci sto in classe con il timido che non interviene mai, con chi si isola? Qual è il confine tra educare e curare? Come gestisco l’invasione del genitore e la conflittualità, la manipolazione, la passività di uno studente o di una studentessa? Come ci sto con il pianto disperato o con l’aggressività di un bambino?”

Sono domande belle toste…

“E sono solo alcune delle domande che mi rivolgono in tanti. Domande che richiedono di trasformare la formazione in un momento che continui a coinvolgere tutto il collegio docenti ma in cui i docenti possano esporre le loro fatiche relazionali con quell’alunno, con quel genitore, con quel bambino o con quella bambina. Perché lo stress della professione docente è innanzitutto uno stress relazionale. Trovo interessante e nobile che la scuola si sia attribuita il dovere di contribuire allo sviluppo del dell’alunno e dell’alunna.
Ma cosa significa sviluppare il Sé, concretamente? I docenti e gli alunni hanno bisogno di sentire questo. Sviluppare il significa sapere come uso la mia emotività, quali sono le mie convinzioni su me stesso, sugli altri e sul mondo, sapere come queste convinzioni influiscono le mie relazioni. Significa sapere come allontano gli altri o come chiedo aiuto. Significa sapere quanto svaluto e come svaluto, me stesso o gli altri.
Se la scuola deve sviluppare il , bisogna dare ai docenti questi strumenti, che ho riportano anche nel mio libro. Senza confondere l’educazione con la cura o la professione educativa con quella di aiuto. Stabilire i confini chiari tra queste due professioni è uno strumento di protezione necessario ai docenti, e i miei corsi iniziano proprio da questa differenza: un argomento molto importante, che meriterebbe di essere approfondito a parte”.

Però non tutto può ricadere sui docenti. Ci sono altri adulti di riferimento: secondo lei le famiglie che cosa devono fare di più?

“La scuola e i docenti possono fare solo una parte, la restante parte devono farla i genitori. L’educazione, in particolare quella emotiva, funziona soprattutto per processi di identificazione: io, bambino, vedo come fai tu, adulto, e ripropongo quel modello. Diverse scuole illuminate mi chiedono di affiancare la formazione ai docenti con la formazione ai genitori, che si svolge tra le mura scolastiche”

Non si parla quasi mai dello stress dei dirigenti scolastici. Lei invece scrive che i presidi sono ugualmente sottoposti a pressioni di vario genere.

“Come rilevano i dati nazionali che emergono dal Report ANP-LUMSA, 2024, su di loro grava un crescente carico di responsabilità. Molti di loro sono sensibili al bisogno di una formazione relazionale ed emotiva degli insegnanti, che li aiuti a gestire lo stress, ma mi dicono di trovarsi spesso di fronte alla scarsità di risorse economiche, impegnate per la maggior parte sulla formazione digitale e linguistica”.

Molti docenti restano a scuola per lavorare, oltre il tempo richiesto e anche se il proprio stato di salute lo sconsiglierebbe. Le indagini epidemiologiche hanno coniato a questo proposito il concetto di “presenteismo”. Lei come si spiega questo fenomeno?

”Il crescente carico di richieste fatte alla scuola e la difficoltà di dire di no, sono le due cause di questo fenomeno. È necessario anche per questo fornire strumenti di consapevolezza ai docenti, e nel libro propongo infatti alcuni esercizi che possano far riflettere il docente su cosa lo ha indotto ad accettare per esempio un incarico aggiuntivo. Perché il rischio è che gli iperadattamenti, i ’si’ che diciamo quando vorremmo dire ’no’, si ripercuotano nello stare in classe o che ad un certo punto arrivi il corpo, con un sintomo fisico o psicologico, a dire ’basta’ e ad indicare la necessità di fermarsi”

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