Rientro in presenza: la scuola italiana e la metafora cinese/1
I cataclismi non bussano educatamente alla porta, né suonano il campanello in modo discreto. Arrivano e sconvolgono la vita delle persone. Così è accaduto anche per il Covid. Sembrava all’inizio una vicenda lontana e prettamente cinese, che colpiva l’altra parte del mondo, e quindi si trovava a distanza di sicurezza, per cui si poteva osservare con il cinismo (almeno iniziale) del protagonista di quella commedia musicale (e film) degli anni sessanta (Un Mandarino per Teo), il quale aveva l’opportunità di divenire ricco, premendo un bottone che avrebbe determinato la morte di un cinese (… alla fin fine, sono tanti, e così lontani …). Poi, all’improvviso, come il diavolo nella commedia di Garinei e Giovannini, il Covid è giunto fino a noi, mettendo subitaneamente in crisi tanti aspetti della nostra vita sociale, a partire dalle fragilità più evidenti, tra le quali il sistema scolastico.
E però, le crisi sono benvenute, quando se ne ricava la giusta lezione e si approfitta di loro per mettere mano a riforme strutturali che danno ordine e soluzione a questioni da troppo tempo trascurate. È così per l’Italia? Soprattutto è così per la scuola italiana?
L’anno 2020/21 è ormai virtualmente chiuso, ma quello successivo preme, cogliendo il sistema scolastico alle prese con il concorso STEM, le operazioni di immissioni in ruolo, la conversione in legge del decreto sostegni bis, con il carico di nuove previsioni normative che riguardano la scuola, a cominciare da un nuovo concorso straordinario, riservato a coloro che hanno maturato un triennio di servizio nel corso dell’ultimo quinquennio. In questo affannoso contesto, si collocano le preoccupazioni per la variante delta, la sua capacità di infettare le nuove generazioni, la necessità di non abbassare la guardia, per evitare una nuova emergenza sanitaria che conduca la scuola, per il terzo anno consecutivo, alla didattica a distanza. Tutto ciò, peraltro, nelle stesse condizioni di fatto che hanno caratterizzato gli ultimi due anni. Rimangono, cioè, irrisolte le problematiche relative all’affollamento dei mezzi di trasporto e delle aule scolastiche; problematiche per le quali non risulta che siano stati adottati provvedimenti definitivi.
È superficiale attendersi un’improvvisa e salvifica soluzione per questioni che richiedono prima di tutto una visione, poi una programmazione pluriennale, assieme a piani di investimento e sviluppo che devono fare i conti con i tanti vincoli che gravano sulla realizzazione delle infrastrutture, sia in termini finanziari, sia fisici. È evidente che metropolitane, autobus e aule scolastiche non sorgono dal nulla, in base ad un decreto o a un provvedimento amministrativo, ma, allora, sarebbe lecito attendersi almeno un piano di emergenza chiaro, che colleghi a parametri oggettivi e presumibili (il numero degli infettati? quello delle vittime, se ci saranno? il tasso di occupazione delle terapie intensive?) l’eventuale necessità di ricorrere a delle misure restrittive in ordine alla frequenza scolastica, facendo, nel contempo, anche l’inventario degli spazi aggiuntivi necessari e disponibili per evitare che si venga meno al distanziamento sociale. Provvedere ora a tali incombenze significherebbe evitare la rincorsa dell’ultimo momento, dalla quale difficilmente scaturiscono risultati ottimali. Soprattutto, significherebbe dare alle scuole l’opportunità di organizzarsi, magari evitando, o riducendo nella misura del possibile, l’ingresso differenziato delle classi, con lo sfasamento degli orari dei docenti che lavorano su più scuole, dal quale sono derivate difficoltà alle scuole stesse nel corso dell’anno che volge alla chiusura.