Scuola digitale, l’appello dei prof: “Basta algoritmi, la scuola è relazione umana”

di Ilaria Venturi, la Repubblica

irmano psicologi e intellettuali, da Settis a Vegetti Finzi.

Il manifesto “Insegnare contro vento” sta girando negli istituti e raccoglie consensi: “Non siamo contro le nuove tecnologie, diciamo però che è sbagliato farne la principale via di rinnovamento”. Da Cancrini a Pellai, ecco le ragioni dei firmatari a fronte dell’arrivo di miliardi dal Pnrr per la Scuola 4.0

L’accelerazione sulla scuola digitale con una valanga di fondi Pnrr– 5,3 miliardi – non piace ai prof. E non perché contrari a pc e aule informatiche e a una didattica che li usa. Ma perché la scuola ora ha bisogno come il pane di ricostruire relazioni umane, soprattutto dopo la pandemia i cui effetti continuano a essere dirompenti tra i banchi. Mentre ti ritrovi a dover usare risorse “congelate” per altro, come la Scuola 4.0. “E’ la digitalizzazione spinta che ci preoccupa, l’ideologia che sta dietro”.

L’appello “Insegnare contro vento”

Sale dal basso l’inquietudine dei docenti messa nero su bianco in un manifesto appello pubblicato sul sito della Fondazione Astrid dal titolo “Insegnare contro vento. Per la difesa della relazione educativa dalla religione del digitale“. Il testo in questi giorni sta girando nelle scuole con una raccolta di firme, ma è già condiviso da esperti eccellenti: psicologi, psicoterapeuti e psichiatri – Luigi Cancrini, Leopoldo Grosso, Alberto Pellai, Silvia Vegetti Finzi, Luigi Zoja – l’archeologo Salvatore Settis, il geografo Franco Farinelli, l’epidemiologa Sara Gandini, lo storico Adriano Prosperi e il filosofo Carlo Sini.

“Il registro elettronico? Un boomerang”

Osserva lo psicoterapeuta Alberto Pellai: “Sono arrivati tantissimi finanziamenti vincolati al digitale, sembra di entrare in un catalogo dove devi scegliere strumenti che per la scuola, rispetto alle condizioni in cui si trova ora, non sono prioritari. Ci sono istituti che non hanno una palestra o spazi per la psicomotricità, bisognerebbe investire sulla formazione dei docenti piuttosto e lì ci sono meno risorse, soprattutto va ripensata questa spinta forte alla digitalizzazione rispetto agli under 14 incapaci di regolazione emotiva, che hanno deficit nell’attenzione e nella concentrazione, i prerequisiti per imparare a imparare”. Pellai fa un esempio concreto: il registro elettronico. “Partito come strumento utile, è evidente come ormai sia diventato un boomerang perché non permette più la relazione tra genitori e figli e fa entrare nella spirale di chat tra compagni di classe che non riescono a capire le consegne sui compiti”.

Il tema posto dall’appello è di fondo e di sostanza e riguarda il ruolo del docente, sempre più marginalizzato e spodestato. “C’è un bisogno emotivo sempre più palese in aula, ma non si può pensare di compensare solo con gli psicologi a scuola e nemmeno con la digitalizzazione più spinta. Occorre piuttosto ridare centralità alla nostra funzione, investire su insegnanti capaci di relazione”, osserva Alberto Gualandi che ha scritto l’appello coi i docenti Lorenzo Morri e Francesco Genovesi. Insegnano nei licei, vedono ciò che sta succedendo nelle aule ogni giorno.

“Il rapporto in classe sempre più condizionato dalle modalità digitali”

Concorda la psicologa e pedagogista Silvia Vegetti Finzi: “La scuola è soprattutto dialogo, comprensione, ascolto, la priorità va data al rapporto, alla relazione vis à vis, diretta. Invece si sta perdendo l’empatia. Gli insegnanti hanno bisogno di aggiornamento psicologico ed emotivo, di una riflessione sul loro ruolo, soprattutto nelle superiori. Cosa succede al contrario? Il corpo docente è anziano, è stanco, avvilito, mal considerato e mal pagato e questo si trasforma in atteggiamento di rinuncia alla comprensione, ci si affida ai voti che hanno preso il posto nell’insegnamento e il rapporto è sempre più condizionato dalle modalità digitali”.

“Il digital non è il diavolo”

Non si demonizza la digitalizzazione, “vogliamo segnalare all’opinione pubblica i rischi prodotti non dall’uso accorto e consapevole degli strumenti digitali, ma da una ideologia che assume talvolta i caratteri di una vera e propria idolatria”, si legge della presentazione del documento. Quello che si chiede è che “sia rimessa al centro la relazione umana”.

“La scuola, soprattutto di fronte al post-covid ha bisogno di adulti, di qualità umana dei professori in classe – ragiona Leopoldo Grosso, psicologo e presidente onorario del Gruppo Abele – In alcuni casi la tecnologia aiuta, talvolta è vitale per esempio per i ragazzi ritirati in casa. Ma non può essere che la didattica digitale spinta a spodestare la relazione, a posporre compassione, il saper cogliere le differenze e le potenzialità alla logica e al principio di prestazione”.

Il rischio, si legge ancora nel documento è che “riducendo la didattica a istruzioni, procedure, protocolli ci si dimentica che solo un essere umano può rispondere alle domande di senso di un altro essere umano”.

“Critica anacronistica? Ecco perché non lo è”

Una critica anacronistica mentre sta entrando nelle scuole e nelle università l’intelligenza artificiale e il metaverso? “Può apparire tale, ma non lo è – risponde Alberto Gualandi – non siamo contro le nuove tecnologie, diciamo però che è sbagliato farne la principale via di rinnovamento della scuola”. In gioco c’è la figura del docente, la sua centralità. “Il problema non sono tanto i fondi per la digitalizzazione, ma l’ideologia che ci sta dietro e che apre alla delegittimazione della funzione dell’insegnante”. Empatia contro il prevalere di algoritmi e programmi informatici nell’insegnamento. E’ un passaggio dell’appello: “Ma siamo certi che esonerare dalla fatica di un’operazione aritmetica senza calcolatori elettronici, dello sporcarsi le mani svitando e riavvitando i meccanismi dell’ortografia e della sintassi, dell’elaborare un’ipotesi di traduzione e interpretazione, aiuti davvero a comprendere se stessi confrontandosi criticamente col mondo? Crediamo davvero che la digitalizzazione crei un clima propizio a meditare una poesia, a confrontarsi con un’argomentazione filosofica, a ragionare su una dimostrazione matematica?”. Il dibattito è aperto.

I punti del manifesto

 

 

La critica alla “religione del digitale” riguarda più punti, oltre al tema che “deresponsabilizza e distrae”. “Sottrae risorse alla riqualificazione della scuola” insistono i docenti. “L’enorme quantità di denaro del Pnrr – si legge – vincolata all’innovazione digitale degli strumenti e degli ambienti di apprendimento rischia di distogliere dai problemi reali della scuola italiana, che restano inevasi: elevati tassi di abbandono, le carenze di un’edilizia spesso vetusta e priva di adeguata manutenzione, le classi sovrannumerarie, la mancanza di spazi idonei alle attività di insegnamento, all’archiviazione dei materiali, all’incontro con le famiglie, allo svolgimento di iniziative culturali aperte al pubblico”.

Un problema anche di privacy

Poi c’è il problema dell’ingresso dei colossi del web nelle scuole: “L’utenza giovanile rappresenta un target estremamente appetibile per soggetti commerciali e imprenditoriali che tentano da anni di fare ingresso nel mondo istituzionalmente protetto della scuola, con i loro prodotti, counseling, expertises, scavalcando le forme tradizionali di relazione educativa e trasmissione del sapere”. Infine, il tema della protezione dei dati personali: “Le scuole si avvalgono di fatto di raccolte di strumenti, software e ambienti di produttività e collaborazione messi a disposizione da multinazionali che archiviano e gestiscono le informazioni personali in sterminate banche dati al di là di ogni frontiera, sottraendosi alla possibilità di un effettivo controllo istituzionale”.

 

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