Scuola, gli stipendi degli insegnanti italiani restano tra i più bassi nell’area Ocse: “E il prossimo aumento sarà la metà di quelli già fatti nei Paesi europei”

da La Repubblica

Lo studio “Educaton at glance” conferma il limitato investimento italiano nell’istruzione (4 per cento del Pil). I salari dei presidi sono, invece, i quarti dei Paesi più industrializzati. Le donne laureate guadagnano il 58 per cento in meno dei maschi

ROMA – Nell’ultimo rapporto Ocse, “Education at a Glance 2024”, si mettono a confronto gli stipendi degli insegnanti dei diversi Paesi membri dell’organizzazione che raduna i più sviluppati sul piano industriale. E si constata, nonostante gli annunci ripetuti del ministro dell’Istruzione del Merito Giuseppe Valditara, come l’Italia sia ancora una volta nei fondi della classifica dell’area.

Solo il 4 per cento del Pil all’istruzione

Rino Di Meglio, segretario della Gilda degli insegnanti, parla di un miraggio per gli insegnanti italiani mentre la Flc Cgil pone l’accento, a proposito del rapporto, sulla scarsa attenzione alla qualità della scuola italiana, “da anni privata delle ore di laboratorio, di compresenze e di personale docente e Ata”. L’Ocse sostiene che il nostro Paese è sotto la media per quanto riguarda la spesa pubblica per l’istruzione: il 4 per cento del Prodotto interno lordo rispetto al 4,9 per cento dei Paesi a sviluppo industriale avanzato.

Non tutte le voci del rapporto indicano nostri ritardi o deficit nel campo dell’istruzione (i docenti sono nella media rispetto al numero di ore dedicate alla scuola), ma, per esempio, l’Italia è quintultima per trasferimento di denaro pubblico per l’istruzione primaria (ultima è la Costa Rica, in Europa peggio di noi, nella voce, solo Irlanda e Grecia).

Salari reali caduti del 5%

Nel nostro Paese nel periodo 2015-2023 i salari reali sono caduti del 5 per cento (qui il riferimento è alla scuola dell’infanzia e alle elementari), ma anche in Austria, Inghilterra, nel Belgio fiammingo e in Finlandia. La svalutazione si è ampiamente mangiata gli aumenti. Siamo quarti, invece, come stipendi dei dirigenti scolastici, dietro Lussemburgo, Australia e Stati Uniti. Dato che rinfocolerà la contrapposizione insegnanti-presidi diventata forte a partire dalla Buona scuola renziana (2015).

“Un quinto dei giovani non si diploma”

La Cgil segnala il dato per cui nel nostro Paese il 20 per cento dei giovani fra i 25 e i 34 anni non completa il ciclo di istruzione secondaria di secondo grado (la media Ocse è, invece, al 14 per cento). “Questo comporta grosse conseguenze sull’occupazione in questa fascia d’età”, sostiene il sindacato, “infatti, solo il 57 per cento dei 25-34enni senza diploma di maturità trova lavoro, a fronte del 69 per cento dei diplomati”. Inoltre, il 27 per cento della popolazione fra i 25 e i 64 anni non diplomata guadagna la metà o meno del reddito medio.

Va detto che la percentuale di non diplomati dal 2016 è diminuita di 6 punti percentuali, ma la quota media dei giovani tra i 20 e i 24 anni che non hanno un lavoro, né frequentano un corso di istruzione formazione, è diminuita dal 32 per cento al 21 tra il 2016 e il 2023.

I sindacati chiedono da tempo di elevare l’obbligo di istruzione almeno ai 18 anni, “invece, a fronte della necessità di innalzare la qualità e la durata dell’istruzione al diploma di scuola secondaria di secondo grado, il ministro Valditara si fregia di una riforma, la filiera tecnologico-professionale, che prevede l’abbassamento del percorso secondario a quattro anni e la sostanziale equiparazione tra scuola e addestramento (apprendistato, formazione professionale) per accedere agli Its”.

Elementari, 11 studenti per un insegnante

L’Ocse conferma lo scarso numero di laureati e diplomati tra gli studenti che appartengono a nuclei familiari di non laureati o non diplomati: in Italia il 37 per cento dei figli di genitori non diplomati non si diploma anch’esso, quando il 69 per cento dei figli con almeno un genitore laureato consegue la laurea. Infine, “Education” segnala un rapporto studenti-insegnanti fissato a 11 a 1 per la scuola primaria e a 10 a 1 per l’istruzione di secondo grado.

“La distanza più grande uomini-donne”

Nel nostro Paese le giovani donne con una laurea guadagnano in media il 58 per cento in meno del salario dei coetanei maschi, realtà che rappresenta il più grande divario retributivo di genere nell’area Ocse. Ottengono sì risultati scolastici migliori rispetto ai maschi, e in molti casi il divario si sta ampliando, ma il quadro è invertito quando entrano nel mercato del lavoro. Le donne di età compresa tra i 25 e i 34 anni, infatti, hanno meno probabilità di essere occupate: il divario è generalmente più ampio per coloro che hanno un livello di istruzione inferiore a quello secondario superiore, più ristretto per coloro che hanno conseguito una laurea: solo il 36 per cento delle giovani donne che ha un titolo di studio conseguito al di sotto del livello di istruzione secondaria superiore viene occupato, mentre la quota corrispondente per i giovani è del 72 per cento (le corrispondenti medie Ocse sono del 47 e del 72 per cento).

“Il 53% degli docenti over 50”

“Con la politica dei tagli”, chiude Flc Cgil, “il risultato è che il 53 per cento del corpo docente ha più di 50 anni contro il 37 per cento nella media dell’area presa in considerazione”. Sottolinea il sindacato guidato nel comparto scuola da Gianna Fracassi: “Così, mentre i Paesi Ocse sono impegnati ad innalzare la percentuale di istruzione della popolazione, il ministro Valditara si affanna a ideare riforme come i quadriennali della filiera tecnologico-professionale o come il Liceo del made in Italy che aumentano le ore di alternanza scuola-lavoro e diminuiscono la formazione generale per accelerare un rapido affaccio al mondo del lavoro che, alla fine, danneggia il reddito e il futuro dei giovani e impoverisce il tessuto produttivo del Paese”.

Lo scontro con Valditara

Su questo punto, e solo su questo, Valditara ha replicato: “Ricordo alla Cgil che finire a 18 anni il percorso scolastico, in conformità all’auspicio del rapporto Ocse, è coerente con una formazione tecnico professionale superiore quadriennale, quale quella prevista dalla nostra riforma del 4+2. Come del resto avviene in tutti i principali Paesi europei. Dimentica, inoltre, la Cgil, che uno dei pilastri della riforma del 4+2 è il potenziamento di Italiano, Matematica e Inglese, le materie dove si manifestano oggi i gap formativi rispetto ai licei. Indietro non si torna”.

.

 

Condividi questa storia, scegli tu dove!