Scuola, i veri numeri dell’abbandono: uno su sei lascia prima del diploma

di Salvo Intravaia, la Repubblica

L’indagine del ministero dell’Istruzione e del Merito.

 

Dal 18 gennaio, gli alunni di quinta elementare e i loro genitori sceglieranno le medie. Quest’anno gli iscritti all’ultimo anno della primaria sono 464mila. Ma si può prevedere sin d’ora che uno su sei tra questi undicenni non arriverà al diploma. A dirlo è la prima indagine sistematica fatta dal ministero dell’Istruzione e del Merito sull’abbandono scolastico: rivela che, tra medie e superiori, è pari al 16,5% la quota di ragazzi che si perdono per strada.

Il dossier “Analisi longitudinale sulla dispersione”, appena pubblicato, studia un intero decennio: dal 2012/2013 al 2021/2022. Per analizzare gli abbandoni scolastici nel lungo periodo, l’ufficio di statistica del Mim ha seguito il percorso di tutti i quasi 600mila ragazzi che risultavano iscritti in prima media a settembre 2012. L’indagine ha preso in considerazione gli otto anni di percorso regolare per conseguire il diploma: 3 di medie e 5 di superiori. Ma si è spinta oltre, fino al 2021/2022, per indagare anche le sorti di chi, a seguito di una o più bocciature, si è magari presentato in ritardo davanti alla commissione, giungendo comunque al traguardo della Maturità o del diploma professionale.

La ricerca è minuziosa e per la prima volta fotografa nella sua interezza un fenomeno che vede la scuola italiana tra le peggiori d’Europa. Sono stati presi in considerazione solo gli abbandoni, diversi dalle “uscite motivate” come la scelta di passare all’istruzione parentale o ai corsi regionali di formazione professionale.

Nel periodo esaminato, si è persa per strada una fetta consistente di alunni: precisamente 96.177 sono quelli che hanno abbandonato gli studi alle medie, alle superiori o tra un anno e l’altro. E non sempre dopo aver assolto l’obbligo scolastico. Si tratta del 16,5% degli oltre 583mila ragazzini che sedevano sui banchi di prima media a settembre 2012.

Analizzando i dati disaggregati, alla base dell’abbandono ci sono ragioni economiche, deprivazione sociale e culturale. Le regioni del Mezzogiorno, meno attrezzate dal punto di vista economico, contribuiscono di più al fenomeno. In Sicilia e Sardegna, il tasso di abbandono supera il 20%, al Sud si attesta al 17,4%. Non solo. Gli alunni maschi hanno una tendenza ad abbandonare gli studi quasi del 40% più alta rispetto alle compagne: si è fermato prima del diploma il 19% dei ragazzi contro il 13,7% delle ragazze. E — forse prevedibilmente — chi è incappato in una o più bocciature sembra maggiormente candidato a far perdere le proprie tracce: più di metà degli abbandoni, il 55%, si è verificato tra gli studenti che erano in ritardo rispetto alla tabella di marcia. Sono infine gli alunni di origine straniera, di prima e seconda generazione, a pagare il prezzo maggiore: il tasso di abbandono sale al 40,3% considerando solo gli studenti non italiani, si mantiene al 13,7% tra gli alunni nostrani.

Per Antonello Giannelli, presidente dell’Associazione nazionale presidi, quello degli abbandoni «è uno dei problemi più gravi del Paese. Spesso la scuola, anziché recuperare i soggetti più fragili e difficili, tende a espellerli. Per rendersene conto basta seguire il dibattito sulle tante chat dove i docenti si esprimono liberamente. Ma le statistiche ci dicono che il Pil di un Paese è fortemente legato al livello d’istruzione della popolazione, perché chi ha un livello d’istruzione basso potrà svolgere solo lavori a basso valore aggiunto». L’unico modo per ridurre il fenomeno, argomenta Giannelli, è rifondare la didattica: «Basta lezione frontale. Occorre rendere rendere lo stare a scuola accattivante, invece molti alunni la vivono come una struttura alienante».

Maurizio Gentile, psicoterapeuta, per un ventennio a capo dell’Osservatorio sulla dispersione scolastica della Sicilia, è uno dei maggiori esperti sul tema: «I ragazzi più a rischio — spiega — sono quelli che vengono da contesti socio-ambientali dove sono forti le povertà educative: tutte le condizioni che impediscono al singolo di sviluppare in maniera adeguata la sua identità e che ostacolano la costruzione degli apparati per pensare. Chi appartiene ad ambienti dove sono carenti gli stimoli neuropsicologici, linguistici, psicomotori e affettivo-relazionali che contribuiscono a realizzare i processi per adeguarsi all’ambiente. Questo crea diseguaglianze, con conseguenze importanti sulle competenze di base». Il punto di partenza quindi non è solo la povertà economica.

E che fine fa chi abbandona la scuola? «La strada più dolorosa — ancora Gentile — è l’ingresso nei percorsi di devianza e microcriminalità. La maggior parte dei ragazzi mostra un’insufficiente costruzione dell’immagine di sé, che comporta difficoltà a inserirsi nel mondo del lavoro o della socialità». Persone che spesso trovano lavori in nero o sottopagati, un enorme potenziale umano che l’Italia non può permettersi di perdere.

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