Scuola, Pil su istruzione in calo al 4,1%, meno opportunità per i giovani immigrati
di Nicoletta Cottone, Il Sole 24 Ore,
Via alla campagna per la cittadinanza ai bambini stranieri nati o cresciuti in Italia
La ripresa dell’anno scolastico, il primo dalla fine ufficiale dell’emergenza sanitaria da Covid-19, non ha cancellato l’impoverimento educativo generato dalla pandemia sull’apprendimento e sul benessere psicologico degli studenti, soprattutto tra i minori in svantaggio socioeconomico. Lo attesta il Rapporto “Il Mondo in una classe. Un’indagine sul pluralismo culturale nelle scuole italiane”,diffuso da Save the Children in vista della riapertura delle scuole: una fotografia delle diseguaglianze educative che compromettono i percorsi di crescita di bambine, bambini e adolescenti in Italia.
[metaslider id=33744]In calo il Pil investito nell’istruzione
Se la pandemia ha rimesso al centro l’importanza degli investimenti sull’istruzione, dopo l’emergenza la percentuale di Pil investita dal nostro Paese in questo settore è tornata a scendere al 4,1%, contro una media europea del 4,8%, a cui si aggiunge la carenza di servizi come asili nido, mense e tempo pieno.
A tempo pieno solo il 38% delle classi della primaria
Nel report si legge che la copertura nelle strutture educative 0-2 anni pubbliche e private nell’anno educativo 2021/2022 è pari a 28 posti disponibili per 100 bambini residenti, ancora al di sotto dell’obiettivo europeo del 33% entro il 2010 e lontano dal nuovo obiettivo stabilito a livello europeo del 45% entro il 20303. Secondo gli ultimi dati disponibili (anno scolastico 2021/2022) ancora solo il 38,06% delle classi della scuola primaria è a tempo pieno (sebbene in crescita rispetto a 5 anni prima, 32,4% nell’anno scolastico 2017/2018) e poco più della metà degli alunni della primaria frequenta la mensa scolastica (54,9%, contro 51% dell’anno scolastico 2017/2018).
Dispersione scolastica superiore alla media europea
Per Save the children, dunque, «non sorprende che la dispersione scolastica in Italia sia superiore rispetto alla media europea» (rispettivamente 11,5% e 9,6% nel 2022) e che l’8,7% di studenti si trovi in condizione di dispersione implicita (secondo i dati Invalsi del 2023), percentuale in diminuzione rispetto allo scorso anno, ma ancora più elevata rispetto a quella registrata prima della pandemia (era del 7,5% nel 2019). Le studentesse e gli studenti che si trovano in condizione di dispersione implicita sono studenti che, pur ottenendo il diploma di scuola superiore, non raggiungono i livelli di competenze richieste nelle prove di italiano, matematica e inglese, bensì mostrano livelli corrispondenti agli obiettivi formativi previsti per gli studenti di terza media.
[metaslider id=32079]Meno opportunità a scuola per i giovani immigrati
La scuola italiana è alle prese con un numero sempre minore di studenti, a causa del calo demografico che da anni investe il nostro Paese: rispetto a 7 anni fa, quasi 71mila bambini in meno hanno varcato la soglia della scuola elementare e le classi sono sempre più multiculturali. Sono più di 800 mila i minori stranieri, pari ad oltre 1 su 108 (10,6%) tra gli iscritti nelle scuole dell’infanzia, primarie e secondarie. Il mancato riconoscimento della cittadinanza italiana, per l’organizzazione, ha un impatto sul successo scolastico e segna il loro percorso di crescita.
Molti studenti con background migratorio, pur nascendo o crescendo in Italia, hanno meno opportunità rispetto ai loro compagni di scuola, a partire dall’inserimento alla scuola dell’infanzia, al ritardo scolastico dovuto alla collocazione in classi inferiori a quelle corrispondenti all’età anagrafica o alla mancata ammissione all’anno successivo, fino all’abbandono precoce. Questi studenti incontrano maggiori difficoltà, ad esempio, a partecipare a gite scolastiche e scambi culturali all’estero e, successivamente, anche ad accedere all’Università o ai concorsi pubblici. In Italia solo il 77,9% dei bambini con cittadinanza non italiana è iscritto e frequenta la scuola dell’infanzia (percentuale che sale all’83,1% per i nati in Italia) contro il 95,1% degli italiani, sperimentando così, fin dai primi anni di vita, percorsi scolastici e educativi diversi.