Scuola, scrivere a mano fa bene
di Marco Belpoliti, la Repubblica
La perdita della parte tattile delle nostre azioni quotidiane, a causa della pervasività delle tecnologie, ci rende meno recettivi, e meno abili, nelle interconnessioni neuronali
La calligrafia non viene più insegnata nelle scuole elementari italiane dal 1985. Da obbligatoria è diventata opzionale, così molti docenti non vi si dedicano più. Del resto, tanti bambini entrano in prima sapendo già scrivere o così credono: lo fanno ricorrendo alle maiuscole. Imparare a scrivere non è facile.
Prima dei 5 o 6 anni è raro che un bambino riesca a farlo in modo adeguato, poiché tra l’omero e il pollice ci sono 29 ossa il cui coordinamento è un effetto progressivo dello sviluppo delle attività psico-motorie. Per questo ai piccoli, che in età prescolare impugnano una matita o una penna a sfera per imitare gli adulti, viene più facile la scrittura maiuscola.
Così avviene, come ha riscontrato Bianca de Fazio scrivendo delle scuole italiane, che l’assenza dell’apprendimento del corsivo riduca le capacità cognitive dei ragazzi.
Come sanno gli allievi delle scuole steineriane, Waldorf, frequentate nella Silicon Valley dai figli dei dipendenti delle industrie tecnologiche, scuole in cui ogni strumento di scrittura e lettura elettronica è bandito, le attività manuali come la scrittura corsiva, il lavoro a maglia o l’intarsio del legno favoriscono le capacità cosiddette problem solving.
Ci sono studi che dimostrano che imparare l’alfabeto a mano manifesta una maggior memoria rispetto all’orientamento delle lettere, e si apprende a leggere con più rapidità riconoscendo le lettere in anticipo.
Perché? Lo spiega Roland Barthes in Variazioni sulla scrittura (Einaudi): la scrittura impegna l’intero corpo ed è una esperienza singolare, unica.
Ogni scrittura è diversa dall’altra, e scrivere non è solo una attività tecnica ma implica una pratica corporea di godimento. Maria Montessori suggeriva ai maestri d’iniziare sempre con le forme rotonde.
Certo imparare a scrivere in corsivo — il corsivo in uso nelle scuole italiane è il “corsivo stile inglese” — non è agevole e implica fatica, tuttavia comporta effetti positivi: si armonizzano meglio le attività manuali e intellettuali.
L’abolizione della pratica calligrafica non è, come si crede, il necessario portato della modernità. In un suo libro la calligrafa Francesca Biasetton (La bellezza del segno, Laterza) ha fatto notare che parliamo di calligrafia come se fosse una unica pratica, mentre si tratta di tre realtà diverse: la scrittura a mano che s’apprende a scuola; la scrittura a mano educata, ora scomparsa nelle aule; la calligrafia che è arte conquistata per lo più da adulti con un addestramento specifico.
La scrittura è la cosa più personale che abbiamo. Ciascuno di noi possiede un segno specifico che un archivista tedesco, Wilhelm Wattenbach, nel 1866 ha chiamato ductus, che consiste non in una forma quanto in un movimento e in un ordine: “è il gesto umano nella sua ampiezza antropologica”.
Il gesto più breve che possiamo compiere mentre scriviamo non è mai inferiore a 8 centesimi di secondo, e ognuno di noi ha una diversa velocità di tracciamento che corrisponde a una forma, la quale si modifica nel corso della nostra vita così come si modifica il nostro corpo.
La perdita della parte tattile delle nostre azioni quotidiane, a causa della pervasività delle tecnologie visive, ci rende meno recettivi, e meno abili, nelle interconnessioni neuronali. Barthes ha scritto che la scrittura è dalla parte del gesto e mai del volto.
A fronte delle immense possibilità cognitive offerte dalle tecnologie, quello che stiamo perdendo è prima di tutto il senso dello spazio, quello di essere dei corpi che si muovono in una estensione che non è una stanza o un appartamento, ma la superficie del mondo aperto intorno a noi com’è stato per migliaia e migliaia di anni per i nostri predecessori.
Uno studioso di geometria scomparso di recente, Narciso Silvestrini, ha detto una volta che la nostra scrittura somiglia al nostro modo di camminare: con entrambe noi creiamo delle cicloidi.
Se si potesse collegare alle nostre gambe un pennino e vedere il tracciato che facciamo mentre camminiamo, si scoprirebbe che il segno che rilasciamo è molto simile a quello che produciamo con le nostre mani: scrivere e camminare sono due attività profondamente collegate ed entrambe fanno bene al pensiero.