Se scioperano pochi docenti significa che il 93% è contento delle proprie condizioni di lavoro? Falso

Mi capita sempre più spesso di chiedermi se, in questo mondo in cui vincono di norma l’apparenza e la spettacolarizzazione, i fatti, nella loro durezza, riusciranno prima o poi ad avere la meglio contro le opinioni. Si sa, nella democrazia apparente, quasi ogni opinione ha diritto di esistere; così la confusione aumenta e quella che si afferma non è l’opinione che si radica, correttamente, nella realtà dei fatti ma quella che viene ripetuta a voce più alta dal maggior numero di persone. Se queste persone occupano anche posti di rilievo nella vita del Paese, l’opinione diviene d’un sol colpo informazione tendenziosa.

Il recente commento del Ministro del MIM (che acronimo infelice! Oltre a perdere il senso della realtà mi sa che sia sparito anche il senso del ridicolo) rispetto allo sciopero del 17 novembre scorso confluisce a pieno titolo nella categoria delle opinioni tendenziose. Così Valditara commenta la scarsa adesione allo sciopero, indetto da più sigle: “Lo sciopero generale di oggi ha avuto scarse adesioni e questo anche nel settore della scuola. Evidentemente il personale scolastico ha apprezzato la linea del Governo che ha provveduto ad aumentare le retribuzioni”.

Gli fa eco Paola Frassinetti, sottosegretario all’Istruzione ed al Merito: “Lo sciopero generale di oggi ha avuto scarse adesioni e questo anche nel settore della scuola. Evidentemente il personale scolastico ha apprezzato la linea del Governo che ha provveduto ad aumentare le retribuzioni”.

Andiamo ai fatti e teniamo conto che l’inflazione media, in Italia, è stata grosso modo dell’8% nel 2022 e del 6,7% per il periodo Gennaio-Ottobre 2023. Di quanto avrebbero dovuto aumentare gli stipendi per far fronte alla perdita di potere d’acquisto degli stipendi?

E che dire del dato del Centro Studi di Mediobanca (che non mi risulta sia in mano a estremisti di sinistra) che afferma che i lavoratori risultano “la componente maggiormente penalizzata in termini di potere d’acquisto, con una perdita stimata intorno al 22%”.

È pur vero che qualcosa è stato gentilmente concesso dal Governo in termini monetari – octroyé, per gentile concessione, insomma, non ottenuto per diritto – ma questo “qualcosa” lascia gli stipendi dei docenti e dei lavoratori della scuola italiana ai posti più bassi nella classifica dei Paesi dell’area OCSE.

Prendiamola da un altro punto di vista: lo stipendio lordo medio di un docente italiano (30.784 euro) supera il Pil pro-capite dell’Italia (30.040 euro) solo del 2,5 per cento. Nell’Eurozona invece lo stipendio medio (44.408 euro) supera il Pil pro-capite (35.850 euro) del 23,9 per cento”. Quindi, per equipararci agli altri Paesi europei, bisognerebbe portare lo stipendio medio a 37.211 euro (il 23,9 per cento in più del Pil pro-capite dell’Italia) e incrementarlo di 6.428 euro. Non parliamo poi degli altri aspetti inquietanti che incombono sulla scuola italiana e per i quali non c’è nulla di cui rallegrarsi. Sinteticamente: nel 2022  i precari sono stati 225mila e cioè il 25% dei docenti;  soltanto il 37% degli edifici scolastici statali possiede un certificato di agibilità e soltanto il 35,5% degli edifici scolastici statali rispetta le normative antincendio; le classi pollaio continuano ad esistere, anche se al Ministero preferiscono parlare degli “ambienti di apprendimento innovativi”; il burnout è un problema sottaciuto e i pensionamenti sempre più tardivi (questo sembra il trend) lo incrementeranno; la percentuale di analfabetismo funzionale cresce  mostruosamente tra i diplomandi.

Si tratta, va da sé, di un elenco sommario: abbiamo lasciato da parte le legittime e gravi preoccupazioni sulla “riforma” dei tecnici e dei professionali, nonché il progetto di autonomia differenziata.

Che qualcosa non vada, nella scuola, lo sa anche Giuseppe Valditara, che ha insistito sulla necessità di “ridare” dignità agli insegnanti. Penso che la dignità gli insegnanti e il personale della scuola la debba conquistare da sé, magari cominciando a protestare non soltanto per le basse retribuzioni ma anche per le loro condizioni di lavoro.

Si dirà che la scarsa adesione allo sciopero di venerdì scorso è una cartina al tornasole e che il dato va tenuto in conto: è proprio così, dobbiamo chiederci cosa significhi il fatto che meno del 7 per cento dei docenti abbia scioperato.

Per aiutare come posso il ministro Giuseppe Valditara gli rivelerò alcune frasi ricorrenti in aula insegnanti nell’imminenza di una giornata di sciopero. “Tu scioperi?” “No, perché è ora di smetterla con scioperi che non siano indetti da tutte le sigle sindacali compatte”; “No, perché lo sciopero non serve”; “E allora cosa serve?” “Lo sciopero di più giornate, di una settimana, ad oltranza” (n.d.r. per il Ministro: questa affermazione viene fatta sempre da persone che non hanno mai scioperato un’ora in vita loro).

E ancora: “Tu scioperi?” “No, perché non me lo posso permettere, con gli stipendi che abbiamo”; “E tu, che sei ancora precario/a scioperi?” “Eh no, sai, non vorrei che il dirigente mi prendesse di mira”; “Cosa farai domani?” “Ho già fatto uno sciopero il mese scorso, non me lo posso permettere”.

E poi: “È ora di trovare forme di protesta alternative rispetto allo sciopero” “Se scioperiamo non facciamo danno a nessuno, anzi” etc. etc.

Dietro a tutte queste frasi c’è un misto di delusione, di sfiducia, di realismo, di opportunismo in quantità variabili da persona a persona. Di una cosa sono certa: i non-scioperanti non sono contenti delle loro condizioni di lavoro, se non in piccola parte. Lo confermano le continue lamentele in aula insegnanti che, però, si fermano lì e non hanno il coraggio di trovare la via per dire pubblicamente che così non va. Infine, gli insegnanti non sono diversi dagli altri cittadini: potremmo supporre che un maggior grado di cultura li renda più consapevoli dei loro diritti e dei diritti dei loro studenti. Non è così: considerati l’ultima ruota di quel carrozzone qual è la scuola italiana, in molti hanno finito per pensare che non contano nulla. Manca loro quindi quel guizzo d’orgoglio che porta a protestare, sia pure nella forma minima dell’adesione ad una giornata di sciopero.

Ad essere giustamente critici, però, non sono soltanto gli scioperanti: una parte di coloro che venerdì hanno lavorato è consapevole di come vanno le cose. Ma è stanco, disilluso, o forse troppo vecchio e non ha alcuna fiducia in sindacati che, sino ad ora, non sono stati in grado di difendere i lavoratori in modo efficace. E se Valditara avesse malauguratamente ragione, vorrebbe dire che il 93% dei docenti italiani è contento di quelle condizioni di lavoro che abbiamo tratteggiato qui sopra.

Quindi, proprio coloro cui è demandata l’istruzione e la formazione di una coscienza critica nei più giovani sarebbero dei conformisti ignoranti e disinformati. Spero proprio che non sia così.

Per il Ministro Matteo Salvini: la sua chiosa sullo sciopero fatto di venerdì non è nuova. L’ho sentita fare da parecchi insegnanti che, come lui, non hanno mai scioperato in vita loro e che considerano lo sciopero una forma di divertimento. Sono convinta che queste persone, invece, non abbiano nulla di buono da insegnare ai giovani: l’opportunismo, il farsi i fatti propri, il non voler prendersi carico del proprio destino, la subalternità sono peccati capitali per chi pretenda di essere un maestro.

.

.

.

.

Condividi questa storia, scegli tu dove!