Stipendi defferenziati per i docenti. L’ultima trovata di Valditara che non riesce a trovare soldi per gli stipendi dei docenti

di Fabrizio Reberschegg, dalla Gilda degli insegnanti di Venezia, 28.1.2023.

La visione di Valditara è coerente con una scelta politica di fondo legata al progetto di autonomia differenziata. Piuttosto il Ministro rappresenti al Ministero dell’Economia e Finanza e al Presidente del Consiglio la necessità di reperire risorse importanti per aumentare la base stipendiale di tutti i docenti.

Le ultime (confuse) dichiarazioni del Ministro Valditara sulla opportunità di differenziare i livelli stipendiali dei docenti anche con il contributo di finanziamenti privati appaiono molto pericolose e gettano fumo negli occhi nascondendo i veri problemi del mercato del lavoro in Italia.

E’ un dato oggettivo che per alcune professioni non si trova personale disponibile in diverse regioni italiane. Alcuni con molta superficialità danno la colpa al reddito di cittadinanza, alla mancata volontà di sacrificarsi dei giovani, alla ideologia della prevalenza dei diritti rispetto a quella dei doveri, ecc.
Le professioni più in crisi dal punto di vista della penuria di lavoratori sono quelle sanitarie e quelle legate all’istruzione. In alcune parti del nostro Paese tale carenza è determinata da due fattori essenziali.
Il primo è la presenza di bassissimi stipendi, tra i più bassi dell’area UE in termini di salario reale.
Il secondo è la mancanza di una politica abitativa e dei servizi ai lavoratori che è stata da decenni scaricata sulle spalle dei lavoratori e delle loro famiglie.
Questi due fattori non disegnano una netta divisione tra nord e sud come alcuni intendono narrare. Il problema è trasversale perché colpisce tutte le grandi aree urbane in cui il livello generale dei prezzi al consumo e delle abitazioni è molto più elevato della media nazionale.

Prendiamo il caso ormai noto della collaboratrice scolastica che ha raccontato di fare la pendolare tra Napoli e Milano in treno per poter lavorare nel capoluogo lombardo. Con uno stipendio di poco superiore ai mille euro mensili netti è ben difficile affittare un appartamento o una stanza a Milano e poi avere reddito sufficiente per poter sopravvivere (trasporti, consumi di necessità, bollette, ecc.).
Del resto quanti sono i lavoratori della Lombardia disponibili ad accettare un lavoro così poco pagato quando le offerte di lavoro, a parità di titolo di studio e competenze, in altri settori o in altri paesi UE sono più vantaggiose?

I governi che si sono succeduti negli ultimi trent’anni non hanno mai affrontato il problema del salario minimo, dell’aiuto con adeguate politiche fiscali per favorire la mobilità dei lavoratori in Italia, della presenza di vaste aree di lavoro nero cui corrisponde una inaccettabile evasione ed elusione fiscale. Molte promesse e parole alle quali non sono mai corrisposti fatti concreti. Il governo Meloni sembra più sensibile al grido di dolore delle categorie corporative vicine al centro-destra piuttosto che al mondo del lavoro dipendente.

Invece di sviluppare una politica strutturale di lungo periodo per salvaguardare in senso di equità i diritti dei lavoratori con investimenti importanti nel welfare a livello nazionale e nelle politiche del lavoro, si sta tornando alle nostalgie delle gabbie salariali senza alcuna visione seria dei problemi da affrontare.

L’ultimo tentativo di razionalizzare il mercato immobiliare degli affitti è stato fatto alla fine degli anni settanta del secolo scorso con l’equo canone. Poi il nulla. Di fronte a stipendi bassi e a situazioni di tensione abitativa che colpisce molte zone del nostro Paese una delle possibili soluzioni dovrebbe essere una politica di sgravi fiscali significativi per i proprietari di immobili che li concedono in locazione a favore di lavoratori che ne hanno bisogno, unita ad una politica di controllo e abbassamento dei tassi sui mutui per i lavoratori che intendono trasferirsi in altro territorio o regione diversi da quelli di provenienza con acquisto in proprietà della casa. Da non dimenticare che il problema della carenza di abitazioni è strettamente legato all’uso distorto degli immobili ad uso abitativo che in molti centri urbani è stato fatto a favore del settore turistico o terziario e che dovrebbe essere poggetto di una imposizione fiscale più elevata.

Pure sarebbe necessario rafforzare il trasporto pubblico per i pendolari smettendo di offrire solo servizi a prezzi elevati (se veda il caso dell’alta velocità ferroviaria) e favorendo la mobilità sociale dei lavoratori.

Il fenomeno della penuria di docenti, di medici, di infermieri era previsto da anni. Nessuno ha avuto il coraggio di attivare percorsi di assunzione e di stabilizzazione del personale interessato. Anzi si è continuato con procedure concorsuali bizantine e con “numeri chiusi” per gli accessi universitari con i risultati noti a tutti.

La visione di Valditara è coerente con una scelta politica di fondo che non intende toccare le rendite e i profitti identificando l’unica variabile dipendente nei salari che devono adeguarsi alle spinte di mercato. Le resistenze all’introduzione di un salario minimo (presente nelle grandi economie dei paesi UE) sono leggibili in questo senso.

La proposta di differenziazione stipendiale dei docenti su base territoriale fatta da Valditara è strettamente legata al progetto di autonomia differenziata di Calderoli che ritaglia il territorio nazionale in entità federali substatali, ma con amplissima discrezionalità nell’organizzazione anche di settori strategici a livello economico, sociale e di welfare.

 

 

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