Stupro sette ragazzi a Palermo, basta dare responsabilità alla scuola
di Reginaldo Palermo, La Tecnica della scuola
Decidendo di scrivere questo rapido commento a quanto accaduto a Palermo qualche giorno fa ho già messo nel conto la possibilità di suscitare proteste e polemiche.
Intanto, sgomberiamo il campo da un equivoco: io credo che per descrivere ciò che è accaduto non vi siano parole adeguate; il comportamento dei sette ragazzi, sia durante i fatti sia nei loro successivi scambi di messaggi e commenti, va ben oltre ogni forma di “comprensione”, nel senso che è davvero difficile darne una qualunque spiegazione.
Non appena avevo letto la notizia mi è subito tornato alla memoria l’ Arancia Meccanica, il film di Stanley Kubrick di più d mezzo secolo fa che descrive, con occhio “sociologico” e quasi scientifico, le “gesta” di un gruppo di quattro ragazzi londinesi che si dedicano alla violenza su cose e persone senza apparente ragione.
Il film, poi, racconta di come uno dei quattro ragazzi venga processato, condannato e sottoposto ad un programma di “condizionamento” che gli impedisce di fatto di usare ancora violenza ma togliendogli però il “libero arbitrio”.
La vicenda di Palermo è sicuramente assai meno complessa di quella raccontata da Kubrick, ma non per questo meno emblematica dei tempi che stiamo vivendo.
Certamente, si tratta di una vicenda che potrebbe offrire materiale di indagine per sociologi, psicologi e forse anche per criminologi e psichiatri.
E’ per questo che trovo, diciamo così, curioso che molti abbiano già fornito la “ricetta” giusta: la scuola deve fare di più, bisogna introdurre l’educazione sessuale nelle scuole.
Come dire (sto semplificando molto, lo so benissimo): insegnando ai ragazzi ad usare correttamente il profilattico gli si insegna anche a non essere violenti.
Per la verità la storia del pensiero filosofico è ricca di idee del genere: Socrate era convinto che chi sa cosa è il bene non può fare altro che praticarlo.
Certo, se fosse vero ciò che pensava Socrate sarebbe tutto facile: basterebbe “insegnare il bene” e avremmo una società fatta solo di persone amabili ed affettuose, peccato però che non tutti abbiamo la stessa idea di bene!
La costruzione di una idea condivisa di bene non può (ma direi che addirittura non deve) essere affidata alla scuola.
Il bene comune deve essere costruito insieme, a scuola, in famiglia, nella parrocchia o in qualunque altro luogo di aggregazione e tutti dovremmo sentirci in qualche modo obbligati a proporre ai giovani i valori del rispetto, della solidarietà, della legalità.
Può darsi che io dica una sciocchezza, ma non importa: forse dovremmo pretendere non tanto che a scuola si faccia educazione sessuale ma che quando un ragazzotto violento entra in un bar o in una discoteca, il gestore gli dica “Tu qui dentro non metti più piede”.