Violenza sull’insegnante di sostegno. Il profilo sacro che si è perso

dal blog di Gianfranco Scialpi

 

Violenza sull’insegnante di sostegno. Triste vicenda. Si invoca la sacralità della scuola. La parola, però ha perso ogni significato

Violenza sull’insegnante di sostegno. La triste vicenda

Violenza sull’insegnante di sostegno. Sinteticamente la triste vicenda. Castellamare di Stabia (Na). Trenta genitori entrano a scuola. Picchiano selvaggiamente un’insegnante. Non chiari i motivi: presunti abusi alimentati e ampliati sulla chat dei geniori.
Ma come riferisce il Corriere della Sera (17 novembre) il suddetto motivo potrebbe essere stato costruito per nascondere una sorta di vendetta. «E’ emerso che, di recente, la docente aveva sorpreso un alunno dodicenne a fumare una sigaretta elettronica nei bagni, e ne avrebbe chiesto e ottenuto la sospensione per due giorni. Ci sarebbero testimoni che hanno affermato di avere ascoltato lo stesso ragazzino e un suo compagno parlare di una «punizione», finalizzata a far «perdere il lavoro» all’insegnante. Addirittura, come emerge dalle prime indagini, nel «piano di vendetta» sarebbe stato coinvolto persino un ragazzino disabile che sarebbe stato minacciato di ritorsioni se non avesse confermato quelle accuse».

Bene invocare la sacralità, ma la parola ha perso significato

Immediata la risposta del Miur: “La scuola è un luogo sacro e va tutelata!“. L’Usr della Campania ha avviato un’indagine per accertare i fatti. In attesa di conoscere l’esito della vicenda, rimangono oggettivamente due elementi: l’entrata dei genitori a scuola, la violenza sul corpo di una docente. Entrambi rimandano alla dimenticanza del sacro (luogo e e non rispetto della sfera fisica).

Evocare, ora il concetto di sacro è sicuramente un’azione da condividere. Purtroppo se si applica il criterio della distinzione, un aspetto della mens philosophica, giungiamo ad un’amara conclusione: richiamare una parola di cui si è perso il significato non porta a nulla!

Sacro, come afferma correttamente Il filosofo  U. Galimberti (2006)  deriva da << una parola indoeuropea che noi traduciamo con “separato” e fa riferimento alla potenza che gli uomini hanno avvertito come superiore a loro e perciò collocata in uno scenario “altro” a cui hanno dato il nome di sacro, successivamente di “divino”>>. La sua caratterizza ontologica è l’indeterminatezza, la difficoltà di arrivare a una determinazione razionale. Una certa filosofia medioevale (Boezio, Scoto di Eurigena…) si caratterizza per l’impossibilità della mente umana di definire il divino.
Secondo U. Galimberti, la religione la cui parola  “significa relegare, recintare, contenere e le religioni hanno fatto una grande operazione di contenimento della dimensione sacra, un contenimento di natura spaziale nel senso che lo spazio del sacro è uno spazio recintato come può essere recintata una fonte sacra, un albero sacro, perchè il contatto con il sacro è un contagio, è qualcosa di estremamente pericoloso, dagli effetti sostanzialmente imprevedibili
Nel contesto contemporaneo il sacro è stato annullato, reso inoffensivo in quanto retaggio di un passato. E’ una parola che non evoca nulla, in quanto l’unica realtà è quella che si  sperimenta ogni giorno. Non esiste nulla al di fuori di noi. Qualcuno arriva anche a dubitare della realtà esterna (Berkeley, psicologia cognitivista…) Il mondo simbolico è il risultato della nostra mente che rifugge il caos, il disordine (Girotto T. Pievani Vallortigara 2008).
Quindi parlare di sacralità è un esercizio evocativo che non porta a nulla, in quanto privo di significato. Un ultimo esempio. Nel periodo antecedente le vacanze estive sono i vestiti essenziali, ma inadeguati dei ragazzi. In un intervista  la scrittice D. Maraini (Il Corriere della Sera giugno 2022) riconduceva tale comportamento, giustificato anche dai genitori, alla perdita del sacro.

 

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